PROGETTO
"RIEVOCAZIONE STORICA DELLA FESTA DELL’UVA E MERCATO DEL TEMPO CHE FU”.
RIVIVERE PER CAPIRE. LA RIEVOCAZIONE STORICA COME METODO DIVULGATIVO DEL
PATRIMONIO CULTURALE E STORICO DELLA CIVILTÀ’ CONTADINA.
Attraverso la conoscenza del proprio territorio e le
sue più profonde radici culturali per promuovere una cittadinanza
consapevole.
La conoscenza del proprio
territorio e le sue più profonde radici culturali per promuovere una
cittadinanza consapevole: in tale prospettiva è nata molti anni fa e
prosegue l’idea di rilanciare le radici, non solo del paese di Subbiano,
ma di tutto il suo territorio, che regge l’urto del tempo e che si
tramanda da secoli con l’iniziativa "RIEVOCAZIONE
STORICA DELLA FESTA DELL’UVA
E MERCATO DEL TEMPO CHE FU”.
Il modo migliore per presentare il
Progetto, promosso dall’Associazione Pro Loco di Subbiano, che ha tra le
proprie finalità statutarie la promozione e valorizzazione delle
tradizioni della comunità locale, è quello di prendere spunto da
un famoso verso di Dante della Divina Commedia:
Fatti
non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e
conoscenza.
Le piccole cose, a volta
trascurate e sottovalutate, possono essere lo spunto per nuove discussioni e
per un analisi più profonda degli avvenimenti quotidiani, allontanando
quel senso di superficialità e creando le basi per un impegno
concreto.
Più il progresso ci spinge a vivere in modo frenetico, più
ci si rende conto dell’importanza della riscoperta di antichi valori che
ci rendano effettivamente parte di una comunità attiva, in grado di
costruire il proprio futuro tenendo sempre presenti le sue origini.
Modello del progetto
Il Progetto ("RIEVOCAZIONE STORICA DELLA FESTA DELL’UVA" E
“MERCATO DEL TEMPO CHE FU”) è stato creato, organizzato
e ricostruito dall’Associazione Pro loco di Subbiano, utilizzando il
modello della “RIEVOCAZIONE STORICA”, alternativo ad altre
modalità di divulgazione a disposizione (grafiche, informatiche,
testuali) per la valorizzazione e divulgazione dei beni
storici e delle tradizioni culturali del territorio.
Il progetto, che racchiude nel nome la sua stessa descrizione è stato organizzato per la prima volta negli anni 80 e ha superato la 35° Edizione.
Nell’anno 2018 inoltre l’evento è stato registrato come target presso la SIAE e depositato come marchio del “Mercatino del Tempo che Fu” e della “Rievocazione della Festa dell’Uva”.
Il progetto si prefigge
l’obiettivo di rappresentare la replica fedele di uno spaccato della civiltà
contadina nel paese, con lo scopo di creare un contatto emotivo con il
pubblico, offrendo alle persone la possibilità di poter osservare da
vicino ricostruzioni di oggetti e di scene di vita appartenenti ad epoche ormai
passate, che hanno rappresentato la quotidianità economico-sociale-culturale
per secoli nel territorio locale.
Questa modalità di offerta
culturale, presenta dei benefici in termini di aumento dei visitatori,
visibilità del patrimonio comune e maggiore comprensione del passato ed ha
fin dalle primissime edizioni riscontrato ampia collaborazione nelle
Istituzioni e nello stesso pubblico presente.
Cos’è la Rievocazione
storica?
La rievocazione storica è,
a grandi linee, un modello tutt’oggi non regolamentato che opera nel
settore culturale.
Lo stesso è il frutto dello
spontaneo e genuino desiderio di perpetrare nel tempo e nella memoria uno stile
di vita che ha permeato il territorio dal punto di vista sociale, culturale ed
economico per centinaia di anni e che, a causa del profondo cambiamento di
stila di vita dehli ultimi decenni, rischia di
perdersi anche nella memoria.
Il progetto è frutto di un
continuo lavoro di studio e preparazione, che comprende la teatralizzazione di
scene di vita quotidiana ma anche di grandi episodi storici (“Atto di
sottomissione a Firenze delle nobili casate” – Firenze, 13 dicembre 1384)
l’organizzazione di eventi culturali, conferenze, il lavoro artigianale
di riproduzione di oggetti del passato, passando per figuranti o aiutando altri
specialisti del settore della cultura nelle loro attività.
Le caratteristiche che
contraddistinguono il rievocatore sono i suoi abiti.
Grazie al vestiario e gli
accessori (abbigliamento era limitato all’essenziale. Per l’uomo i
pantaloni di fustagno, il panciotto, la giacca di fustagno, camicie bianche o a
quadri e il cappello a falde, ai piedi zoccoli o scarponi, per le donne gonne
con davanti un grembiule, scialli e mantelline ed in testa la pezzuola. Le
donne accudivano la casa, gli animali da cortile e aiutavano nel lavoro dei
campi. I mezzi di trasporto erano pochi: animali da soma, quali la miccia, il
mulo, più forte e anche più costoso, qualche famiglia il cavallo
e il calesse e i barocci).
In un mondo in cui la tecnologia
ha presso il sopravvento, la rievocazione storica ci insegna come si viveva
senza computer, cellulari, tv o radio.
Il rievocatore
viaggia nel tempo per portarci al presente oggetti che possiamo toccare con le
nostre mani, con cui possiamoesperimentare e riuscire
ad intendere i lavori artigianali o la vita privata dell’epoche ormai
passate, conoscere le identità, la storia, la cultura e
didattica, ma anche divertimento…
Ecco i motivi per i quali si
propone il Progetto di rievocazione storica come diversa e nuova tipologia di
offerta turistica, in quanto di per sé può contenere elementi di
risposta alle esigenze che si vanno sempre più manifestando: divertimento
educativo, spettacolo ed emozioni, soprattutto se costruita per una
partecipazione ATTIVA!
La rievocazione storica di per
sé crea spettacolo, offre occasione di divertimento educativo, provoca
emozioni in chi la vede ma soprattutto in chi la vive.
Il turismo esperienziale insegna
che il cliente vuole sentirsi protagonista di un evento che vede accadere coi
propri occhi “sul palcoscenico del territorio”. Quale occasione
migliore dunque, se non quella di calarlo all’interno di una vicenda che
faccia rivivere in prima persona la Storia?
Quindi il progetto "RIEVOCAZIONE STORICA DELLA FESTA
DELL’UVA" offre l’opportunità di fare un primo
importante passo verso la valorizzazione delle competenze che, anche nella
rievocazione storica, permettono di far vivere esperienze uniche, memorabili,
indimenticabili.
Premessa
Il mutamento sociale è il
cambiamento che si produce nelle strutture e nelle istituzioni dei sistemi
sociali. Quando si parla di mutamento dalle società antiche a quelle
moderne si fa riferimento ad un insieme di cambiamenti che investono tutte le
sfere del tessuto sociale, dal lavoro alla politica, dalla comunicazione alla
famiglia, ivi compresa anche la cultura enogastronomica, i quali sono causa ed
espressione stessa del mutamento.
Il mondo contadino aveva la
necessità di avere un cibo sostanzioso e nello stesso tempo
“breve” in quanto anche le donne si recavano in campagna e,
rientrando la sera dopo il lavoro, avevano la necessità di mettere in
tavola tanto da sfamare una intera famiglia, spesso molto numerosa.
Diversamente il mondo
industrializzato pretende sostanzialmente un rivoluzionario mutamento delle
abitudini alimentari; la vita più frenetica, la donna che inizia a
lavorare e a stare sempre più tempo fuori casa, il sempre più
crescente spostamento delle spese familiari invertono la rotta alimentare verso
una cucina più sbrigativa, più veloce ed anche più
economica, proporzionata al nuovo stile di vita. Nascono così le
pizzerie e i fast-food, crescono le attività che propongono una ristorazione
veloce. Nascono così alimenti già preparati industrialmente,
nasce così anche il cosiddetto “cibo spazzatura” una
tipologia di cibo considerato malsano a causa del suo bassissimo valore
nutrizionale e la ricchezza di grassi o zuccheri.
Fenomeno questo che, anche se in
tempi diversi rispetto a quello nordico più industrializzato, ha
interessato il nostro territorio, in passato prettamente agricolo.
Anche l’evoluzione
dell’agricoltura ha avuto il suo peso nel radicale mutamento delle
abitudini: dall’agricoltura intesa come arte di coltivare i campi, si
è passati ad un’agricoltura moderna fatta da tecnologie avanzate e
da un esagerato sfruttamento delle terre.
Negli ultimi anni, grazie
soprattutto ad una maggior consapevolezza culturale nei consumatori, si
è assistito ad uno spostamento del mercato alimentare verso una
valorizzazione di alimenti più di qualità e verso un maggior
rispetto di alcune forme di produzione sino ad arrivare ai nostri giorni in cui
l’attenzione alle cucine tipiche regionali si è unita alla
questione della tutela del territorio e ai temi della biodiversità e
dell’eco-compatibilità ambientale.
Dappertutto si è
accentuata la consapevolezza della complessità culturale del cibo ed
oggi la tutela delle gastronomie regionali implica la tutela delle
identità locali, come attestano anche alcune trasmissioni televisive
dedicate a cibo e territorio. Ricostruire le gastronomie locali comporta il
recupero non solo di ricette, ma di modalità di cottura, presentazione
del piatto, usanze conviviali che racchiudono stili di vita, modelli etici e
familiari. Si parla sempre più spesso di paesaggi gastronomici,
sottolineando con tale espressione la consapevolezza sempre più diffusa
dell’unione tra ambiente, agricoltura e cultura.
Con il presente progetto si mira d
evidenziare il cambiamento che il cibo, elemento primario per la sopravvivenza
della specie umana, ha avuto nel passaggio tra il mondo contadino e quello
moderno industrializzato; mutamento questo avvertito anche e soprattutto nel
nostro territorio, storicamente contadino.
Attraverso l’osservazione di
tutte quelle manifestazioni legate ai prodotti della terra, alla cultura e alla
musica popolare, alla fede e ai lavori artigianali si cercherà di
offrire un contributo nell’analisi territoriale di quel mutamento cultural-gastronomico che ha interessato il territorio
nell’ultimo trentennio.
Pur se spesso le sagre, di cui le
Associazioni Pro Loco sono storicamente e statutariamente le depositarie, non
hanno origini remote ma spesso rappresentano solo una recente pratica festiva a
vocazione turistica, si metterà in evidenza il legame che lega le
pratiche del presente alla storicità territoriale culinaria
La rievocazione è evento che ripropone scene di vita e di lavoro
nonché i piatti e i sapori tradizionali dell'antica civiltà
contadina del territorio subbianese. Carri trainati
da buoi ed asini, aratri, forconi, semina con la falce, mietitura e battitura
del grano riemergeranno dal passato a testimoniare una vita fatta di fatiche e
precarietà ma anche di gioie, semplicità e
socialità.“
L’area
di intervento (territorio coinvolto nel progetto)
Arrivando a Subbiano da sud, si
può godere di una piacevole vista della torre longobarda che si trova
accanto al castello e che si affaccia sulle rive dell'Arno, che si riflette
nelle sue acque proprio come la parte più antica del paese, con le sue
storiche abitazioni e al vecchio mulino.
Il Centro di Documentazione della
Cultura Archeologia è anche interessante, se si considera che in questa
parte del comune, sono stati scoperti i resti di insediamenti di 3.000 anni fa.
L'area più popolare era una volta l’Alpe di Catenaia,
sede di antichi clan che allevavano bestiame. La montagna - dove la presenza di
acqua l’ha resa particolarmente fertile per la vita vegetale, vantando
foreste di querce, castagni e faggi - è il luogo ideale sia per turisti
in vacanza che per escursionisti esperti, che possono trovare percorsi
più adatti per il loro livello di abilità sopra 1.100 metri. I
mulini ad acqua di Falciano, che punteggiano le pendici della montagna, sono un
altro must da vedere, così come il vicino
Castello di Valenzano. Colline di oliveti e vigneti accompagnano la discesa
verso il fiume, e nell’antico Borgo si dispiegano lungo le sponde dell’Arno,
il vecchio mulino, piazzette storiche e
il Castello con la fiera Torre Longobarda.
L’ospitalità è
offerta da confortevoli alberghi, residenze storiche, bed
and breakfast, agriturismi e area sosta per i camper, mentre a tavola si
gustano prodotti locali, veri giacimenti, di un tempo passato. Subbiano, a pochi chilometri da Arezzo,
è un modo per conoscere al meglio il cuore della Toscana Aretina, posto
come ingresso al Casentino terra del Parco delle Foreste Casentinesi e della Verna, è poco lontano da Sansepolcro, città
di Piero della Francesca, e vicino a Cortona.
Subbiano è una terra in cui
convivono bene contemporaneità e tradizione e dove il rapporto
uomo-ambiente è ancora salvaguardato. Qui sono ancora vive le tradizioni
ed il ricordo della vita di un tempo, nonostante i radicali e tumultuosi
cambiamenti avvenuti nella vita di tutti i giorni dalla industrializzazione.
Nel punto dove la piana aretina
restringendosi gradatamente si esaurisce nella stretta gola che da l'accesso
alla vallata casentinese inizia il territorio di
Subbiano alla cui guardia, sopra una rupe e incorniciata da alteri cipressi,
è posta la massiccia torre quattrocentesca del Castello della Fioraia.
Lo scenario di Subbiano si allunga
con armonia lungo l'Arno che qui ha già le caratteristiche di un giovane
fiume, con le acque chiare dalle rive inghiaiate, per poi fuggire verso l'alto
sino al Monte Castello e Monte Altuccia dove si
confondono i confini tra Casentino e Valtiberina, tra
Subbiano e Caprese Michelangelo.
Una terra mutevole nei colori come
la tavolozza di un pittore e capace di segnare lo scorrere del tempo e il
passare delle stagioni... Ocra e rosso in autunno, verde cupo e marrone in
inverno, verde tenue in primavera, giallo e verde intenso nella stagione delle
messi. Ambiente che offre spunti al fotografo per fermare gli attimi della vita
e al viaggiatore per sostare in tranquillità seppure a due passi dalla
città.
Un luogo dove fermarsi a gustare i
piatti tipici casentinesi e per la Strada del Vino
degustare i vini aretini che hanno saputo frasi apprezzare.
Una terra capace di offrire
ospitalità in ottimi agriturismi per vivere a contatto con la natura e
il mondo agreste, in case vacanze inserite in piccoli borghi dove il tempo
sembra essersi fermato, in alberghi semplici e familiari o in relais
prestigiosi.
Un luogo dove scoprire
l'artigianato locale come la lavorazione del ferro battuto, percorsi museali
come il Centro di Documentazione Archeologica Giano e ancora la torre
longobarda e castelli come quello di Castelnuovo e di
Valenzano.
CONTESTO
TERRITORIALE
Un territorio in prevalenza collinare-montano che si estende per 78,24 chilometri
quadrati, con una popolazione di oltre 6700 abitanti, con Subbiano che dista da
Arezzo solo 14 chilometri e che offre un ottimo collegamento sia con la
città che con l'alto Casentino grazie alla linea ferroviaria Arezzo-Stia e alla strada statale 71 umbro-casentinese
che consente agevoli itinerari giornalieri con i luoghi della fede come la Verna e Camaldoli, itinerari
ambientali come il Parco delle Foreste Casentinesi e il Pratomagno,
itinerari artistici come il Castello dei Conti Guidi a Poppi, il Castello e la
Pieve di Romena, il Castello di Porciano, con un
collegamento veloce con la provinciale della Libbia
che collega Arezzo con Anghiari per i percorsi di
Piero della Francesca.
PATRIMONIO
CULTURALE E PAESAGGISTICO
Il paese di Subbiano, con il
paesaggio collinare che fa da cornice, è caratterizzato da terrazzamenti
con coltivazioni di viti e ulivi. Nei campi si coltivano ancora foraggio e
cereali, al margine dei campi si sviluppano boschi e querce e castagni.
L’agricoltura e
l’allevamento sono effettuati a livello familiare e speso come
attività secondaria.
La presenza dell’uomo nel
territorio risale a epoche molto remote, poiché il luogo è stato
via di transito naturale dal Casentino verso Valtiberina
e la zona aretina.
Tra i concittadini subbianesi degni di nota storica, l’eminente subbianese Orazio Lapini, (Subbiano 15 giugno 1859 - 9 aprile 1933), poeta e
scrittore, nato da famiglia nobile aretina, autore di numerose
pubblicazioni, che ha rivestito una grossa importanza per tutto il territorio
aretino in quanto, fra la fine dell’ottocento ed i primi trent’anni
del novecento, ha colmato un vuoto culturale che ha riguardato non solo
Subbiano ma anche la città di Arezzo.
La sua importanza è legata
anche al fatto che fu un grosso finanziatore dell’Accademia Petrarca, per
la quale creò un fondo che servì a reperire moltissimi libri e
trattati riguardanti il Petrarca, oggi raccolti e catalogati all’interno
della biblioteca dell’Accademia.
In alcune poesie tratte dalle sue
raccolte esalta Subbiano e il suo territorio.
LA DOLCE TERRA NATIA
L’Arno
rifrange l’azzurro del cielo
E
in iridi a lui l’avventa;
Or
la brezza lo stuzzica e lo tenta;
L’arruffa
e increspa quel serico velo.
Par
che i fiori si drizzin dallo stelo
E
il rosmarino, la salvia e la menta,
tutta
dei campi la dolce sementa,
a
gara fanno di profumo e zelo.
Trillan gli uccelli allora il
concertino
E
i monti fan da sfondo e da scenario
E
il fiume svolge il suo nastro argentino.
Subbiano
intanto, bianco armento al sole,
s’adagia
nel riposo al verde vario:
fa
da pastor la longobarda mole.
VIN DI
SUBBIANO
Gli
Dei nei loro conviti e nei festini
Ti
posson ber così, o bionda albana,
che
godi il sol come gatta soriana
coi
tuoi grappoli biondi: i tuoi micini!
O
dolce nei tramonti settembrini,
quando
pompeggia al sole ogni ponzana,
veder
che la promessa non fu vana
di
far ricolmi gli aspettanti tini.
Dagli
strettoi già cola il mosto a fiotti
Denso,
biondo, qual olio silenzioso
Che
farà altere le capaci botti.
Questo
e il vin bianco nostro di Subbino
Che
al paese darà nome famoso
Come
l’Orvieto ed il Montepulciano.
Ministoria
del territorio di Subbiano
E’ probabile che già
nel periodo Eneolitico (età del rame – 3.000-1.000 a. C.) lungo le
pendici e sulle alture dell’Ape, esistessero villaggi di popolazioni
nomadi dedite alla pastorizia, all’allevamento del bestiame ed a una
forma primitiva di agricoltura.
Si trattava di popoli italici, tra
cui gli Umbri e forse i Liguri, che conobbero la lavorazione della pietra e nel
tempo quella dei metalli. Popolazioni dedite al culto del sole, considerato
fonte di vita; un dio a cui furono dedicati riti e rudimentali monumenti di
pietra.
Epoca
etrusca
Verso il settimo secolo a.C.
questi popoli vennero a contatto con gli Etruschi, popolo civile e raffinato
che diffuse l’artigianato, la coltivazione della vite e dell’olio e
l’uso di strumenti agricoli come l’aratro, la zappa e la falce.
L’economica prevalentemente
agricola si mantenne con queste con queste caratteristiche per secoli.
Epoca
romana
Quando i Romani sottomisero
l’Etruria (tra il IV e il III secolo a.C.) ebbe inizio anche la
romanizzazione del territorio di Subbiano, cui seguì la creazione di una
fitta rete stradale spesso costruite su antichi sentieri dei greggi.
Grazie allo sviluppo delle vie di
comunicazione, una parte degli abitanti delle alture, dediti alla pastorizia,
si spostò in basso, nella zona collinare, dove molte terre furono
dissodate e rese coltivabili.
Etruschi e romani introdussero nel
territorio anche la loro forma di pratica devozionale: gli etruschi il culto
delle divinità e l’osservazione dei segni celesti e degli astri, i
romani, pur restando fedeli al culto del sole e dell’acqua, diffuso i
culti di venerazione degli dei pagani: Giove, Giunone, Minerva, Marte ecc.
Anche il Dio Giano o Janus, venerato dai Romani come Pater perché simbolo del sole, che simboleggia l’inizio e la fine di ogni cosa, dalla cui espressione latina Sub Jano conditum, cioè costruito da Giano o al tempo di Giano, il nome Subbiano trarrebbe origine.
Janus è una delle prime
divinità delal gente italica, il suo nome deiva da “porta”, veniva rappresentato come un
Dio bicefalo, cioè con due teste: una (testa di giovane imberbe)
guardando avanti verso il futuro, l’altra (testa di uomo barbuto) rivolta
indietro quindi al passato. Giao era dio delle porte,
quindi anche di tutti gli inizi, di una storia, di una vita umana, di una
impresa, addirittura di tutti gli Dei, chiamato perciò Ianus Pater.
Con il diffondersi del
Cristianesimo scomparve il culto dei vecchi dei, i cui templi furono abbattuti
e talvolta trasformati in luoghi di devozione e di fede cristiana.
Dopo la caduta dell’Impero
romano (476 d.C.) ebbero inizio le invasioni barbariche. Per quasi cinquecento
anni i territorio furono devastati da popolazioni in cerca di terre fertili
dove stabilirsi.
Il territorio di Subbiano fu
conquistato inizialmente dagli eserciti bizantini che, dopo essersi insediati,
costruirono sulle alture i primi fortilizi di avvistamento e difesa contro le
successive invasioni dei Goti e dopo, forse nella prima metà del VII secolo,
arrivarono i Longobardi che penetrarono nella vallata casentinese
dalla Consuma e si accamparono nei pressi Castelnuovo
(Campus barbarentis).
Certamente il castello che i
Longobardi edificarono a Subbiano non è quello dell’attuale torre.
Le fortificazioni barbariche no furono dei veri castelli, si trattava di torri
di vedetta, recinti, in parte interrati, una specie di trincea con opere di
difesa in muratura o legname, detti gardinghi.
Il ripiano roccioso, alla
confluenza dei due corsi d’acqua, l’Arno e il Palbena,
era un ottimo punto di controllo della strada e del passaggio del fiume, qui
sorse probabilmente nello stesso punto di un precedente castrum bizantino.
Medio
Evo
In epoca medioevale intorno alla
torre si sviluppò il piccolo feudo.
La struttura attuale della torre
si può riferire ai secoli XI e XII, non è risaputo se la torre
alla sommità avesse merlature e le piombature, la feritoria
ed il lato nord su cui poggia sono di epoca medioevale, mentre la torre
è stata oggetto di restauro nel XX secolo.
Il periodo di maggiore prestigio,
sia come dimora feudale che come avvenimenti storici, fu forse dalla
metà dell’anno mille a tutto il milleduecento, nell’epoca
dei contrasti fra il feudalesimo ecclesiastico (Guenfi)
e il comune di Arezzo (Ghibellini).
Nell’ambito del sistema
feudale rientravano anche gli ecclesiastici. Oltre alla chiesa aretina si erano
insediati nel possesso di corti e castelli vicino a Subbiano, anche gli abati
di S. Fiora e di Campoleone.
Il monachesimo era sorto nella
metà del sec. VI, durante il periodo delle
invasioni barbariche, acquistando forza l’ordine di S. Benedetto che
divento centro di attività culturali, economiche e produttive. Secondo
la Regula
di S.Benedetto i lavori agricoli erano al primo
posto.
Fin dall’epoca
dell’occupazione longobarda, che spezzò l’unità
d’Italia, gli stessi si insediarono nelle terre conquistate secondo le
forme dell’ordinamento familiare (fara) costituito da famiglie alle
quali era affidato il possesso e la difesa dei territorio, divisi in ducati.
L’economia che andò a
formarsi era di tipo curtense, quindi la vita economica e sociale si svolgeva
quasi interamente al suo interno, essendo scomparsi quasi del tutto i commerci.
Per tutto il Medioevo l’agricoltura costituirà l’attività
preminente a cui rimasero legale quasi tutte le classi sociali.
Dai documenti storici la curtis si
riscontra a Subbiano, Montegiovi, Falciano, Castelnuovo, Valenzano, Vogognano.
Accanto agli ecclesiastici erano i
proprietari laici, ricordando i Fuscheri, I Sassoli a
Montegiovi, gli Alberti e i Grinti
in Catenaia e gli Umbertini a Valenzano.
Nel tempo, verso la fine del X
secolo, la crescita delle forze produttive dette avvio ad un lento processo
evolutivo della struttura agraria che portò ad un nuovo ordinamento
della proprietà fondiaria e a un diverso assetto del paesaggio agrario,
verso la nascita dell’azienda agraria moderna con il sistema poderile.
Dal 1253 non si rinvengono notizie
di rilievo su Subbiano fino al periodo dei Tarlati, riconquistando tutti i
territori perduti negli anni delle discordie tra Guelfi e Ghibellini, che
trovò il tragico apice con la battaglia di Campaldino
del 1289.
Nel 1311 i capi riuscirono ad
incontrarsi e firmare la pace (1311) fra i Bostoli
guelfi e i Tarlati ghibellini e trattava la sottomissione per 10 anni della
città di Arezzo a Firenze.
Nel 1312 Guido Tarlati, fu
nominato vescovo e signore “a vita” della città di Arezzo,
di cui risollevò le sorti politiche dopo la sconfitta di Campaldini, avviando una fase di intenso sviluppo economico
e urbanistico.
Il governo di Firenze, per potersi
assicurare la supremazia su tutto il territorio aretino, trattò benefici
economici e militari con le famiglie nobili che tenevano in possesso molti
castelli e fortezze. Fra queste famiglie, che possedevano ampi territori di
Subbiano, i Tarlati di Pietra Mala,
gli Umbertini, i Barbolani di Montauto
e gli Alberti (Atto di sottomissione in Firenze – 13 dicembre 1384).
Il dominio fiorentino si
instaurò per i successivi quattro secoli. Nel 1434 si instaurò a
Firenze la signoria dei Medici che fu poi trasformata, nel 1569, in Granducato
di Toscana. Con l’ascesa al potere del granduca Leopoldo I
d’Asburgo Lorena, furono apportate numerose modifiche al sistema
economico, liberalizzando il commercio, concedendo il privilegio di tagliare i
boschi, realizzando opere di bonifica, abolendo la tortura, la pena di morte,
privilegi e immunità, ridefinì i confini territoriali, tra cui
istituì ufficialmente il comune di Subbiano (13 agosto 1776), riunendo
insieme tutti i vari Comunelli che furono aboliti per
sempre e trasformati in frazioni.
La podesteria
di Subbiano, guidata da un Podestà sempre fiorentino, aveva sede presso
l’attuale palazzo Ducci, posto a metà
del Borgo di Subbiano, sulla cui facciata rimangono gli stemmi di alcuni
Podestà, comprendeva i comunale di Subbiano, Catenaia,
Valenzano, Savorgnano, Montegiovi,
S.Mama, Castelnuovo.
Epoca
Moderna
In epoca napoleonica, con decreto
del 24 maggio 1808 la Toscana fu annessa alla Francia, il territorio fu diviso
in dipartimenti, circondari e municipi.
Nel 1815, dopo la sconfitta di
Napoleone, i territori ritornarono in possesso dei Lorena, i quali lasciarono
l’organizzazione amministrativa del territori precedentemente data da
Napoleone.
Dopo le guerre e le insurrezioni
risorgimentali che portarono all’Unità d’Italia del 1861, la
vita nelle campagne riprese il suo ritmo normale, in cui la popolazione traeva
i mezzi di sussistenza dal lavoro nei campi e dall’allevamento di bestiame.
Anche nei primi decenni del secolo
XX la struttura sociale e le abitudini di vita rimasero pressoché
invariate rispetto al secolo precedente.
I poderi erano a conduzione
mezzadrile: il proprietario del terreno ed il mezzadro avevano stipulato un
contratto per la coltivazione al fine di dividere a metà i prodotti e
gli utili. La famiglia colonica aveva un’organizzazione specifica: il
Capoccia , in genere la persona più anziana, era il rappresentante e
l’amministratore di tutta la famiglia, la massaia, in genere la moglie del
capoccia, aveva la conduzione della casa e non doveva render conto a
nessuno. Organizzava la
preparazione e la cottura del pane, il lavaggio dei panni, controllava tutti i
lavori di casa, allevava maiali e animali da cortile. Era l’unica donna a
non lavorare nei campi e da lei dipendevano le figlie e le nuore.
Il bifolco era il responsabile
della stalla e delle bestie da lavoro che lui stesso doveva custodire,
governare, ripulire e aggiogare per i lavori. Data l’importanza delle
bestie come forza lavoro nell’economia del podere, grande era la sua
responsabilità, in parte condivisa con il capoccia con il quale si
consultava nella compravendita del bestiame.
La semina, la mietitura, la trebbiatura, la vendemmia, la raccolta delle
olive e delle castagne rimanevano, per gli abitanti del paese e i contadini, i
momenti più importanti di quella cultura contadina che da secoli
permeava il territorio subbianese.
La mietitura è la fase
finale del processo che iniziava per S.Francesco il 4
ottobre con la semina del grano.
Anche la vendemmia costituiva il
ciclo finale della coltivazione della vite che cominciava a febbraio con la
potatura, la piegatura e la disinfestazione delle piante con zolfo e acqua
ramata.
Al momento della vendemmia,
l’uva recisa dal tralcio con un roncolino veniva portata nelle cantine e
trasformata in vino. Nulla veniva sprecato: le vinacce venivano date in pasto
ai polli o maiali, gli scioramenti (tralci potati)
erano affastellati e usate per accendere il forno per cuocere il pane o il
fuoco sotto grandi paioli di rame, il vinsanto si faceva verso la fin
dell’anno facendo bollire uve pregiate fatte maturare appese al soffitto
ed il caratello con il tappo murato e fatto invecchiare per almeno due anni.
Subito dopo la vendemmia veniva la
raccolta delle castagne, da essiccare e poi da macinare per ottenere la farina
usata per la polenta dolce (castagnaccio o baldino).
Seguiva la raccolta delle olive
che era fatta con le mani nei panieri di vimini, legati alla vita e dopo raccolte
portate al frantoio.
Nel periodo natalizio si
provvedeva alla spezzatura del maiale.
Le famiglie integravano il reddito
familiare allevando ovini per uso familiare e per la vendita di agnelli e di
prodotti caseari.
L’abbigliamento era limitato
all’essenziale. Pantaloni di fustagno, il panciotto, la giacca di
fustagno, camicie bianche o a quadri e il cappello a falde, ai piedi zoccoli o
scarponi, per le donne gonne con davanti un grembiule, scialli e mantelline ed
in testa la pezzuola.
Le donne accudivano la casa, gli
animali da cortile e aiutavano nel lavoro dei campi. I mezzi di trasporto erano
pochi: animali da soma (la miccia, il mulo, più forte e anche più
costoso, qualche famiglia il cavallo e il calesse e i barocci).
Unici svaghi erano le funzioni
religiose e le fiere paesane, chi suonava la fisarmonica mentre i giovani
ballavano, nelle sporte venivano riposti piatti da condividere per
un’allegra merenda campagnola.
Dopo l’Unità
d’Italia, l’entusiasmo patriottico rinvigorì anche gli
scambi sociali e commerciali. Fu dato particolare risalto al mercato
settimanale e alle fiere di merci e bestiame, considerate essenziali per la
valorizzazione i prodotti agricoli e zootecnici, tipici di un’economia
rurale come quella subbianese.
Dopo la costruzione della
Piazza del Mercato, le fiere furono gradualmente aumentate di numero: tre,
quattro, fino ad arrivare, ad inizio Novecento, a dodici. Una decisione molto
gradita ai commercianti locali, che vedevano così aumentate il loro giro
di affari.
Con l’intento di migliorare le condizioni economiche del paese,
insieme al mercato settimanale di animali da cortile, uova, erbaggi e mercanzie
varie, furono riproposte anche le fiere mensili, già sperimentate a
inizio secolo.
Nel 1936, in ottemperanza ad una
proposta del governo centrale, volta a valorizzare i prodotti agricoli locali,
la Comunità di Subbiano, decide di aderire, con entusiasmo e
partecipazione, alla “VII Festa nazionale dell’uva”, dando
così il via ad un tradizione che, ad alterne vicende, è arrivata
fino ai giorni d’oggi.
LA
TRADIZIONE CULINARIA NELLE LOCALITA’ DI
PROGETTO
Prodotti
Tipici
I prodotti tipici locali offre miele, olio, vino, formaggio, vinsanto, moscatello (di cui in allegato la scheda), castagne tutti sapori tipici toscani da sempre apprezzati.
La castagna, in ogni epoca del
passato ha rappresentato un mezzo di sostentamento per le popolazioni locali
che non potevano permettersi farina di grano (e quindi pane) dato il costo
eccessivo.
Le più belle selve di
Subbiano sono nella zona di Vogognano, circa 30
ettari, e Falciano circa 20, tutte sulle pendici dell’Alpe di Catenaia, con castagni centenari che raccontano con i loro
tronchi “busi” storie delle vecchie
famiglie della zona.
La raccolta produce circa 1350
quintali tra marroni e pistolesi ed è
effettuata in Autunno, prevalentemente a mano ma oggi le nuove aziende di
Falciano si avviano all’utilizzo di mezzi meccanici idonei in modo da
salvaguardare il prodotto.
Vediamo ora i vari lavori che si
eseguono prima, durante e dopo la raccolta delle castagne fino alla
trasformazione in farina.
La prima operazione è la
ripulitura del terreno, che ha inizio nel mese di settembre e che si protrae
fino alla caduta delle castagne"primaticce". Per questo lavoro si
usano falci e pennati, si tagliano ginestre, felci, scope, spini ecc.,
cresciuti dopo la raccolta dell'anno precedente. Con la zappa, si fanno, o si
rifanno, le fossette nei punti di maggior pendenza del terreno per impedire ai
frutti di "scivolare" nei castagneti confinanti. Il materiale
tagliato viene accumulato in vari punti e poi bruciato.
Ogni quattro o cinque anni, da
aprile a maggio, i castagni vengono puliti, cioè privati dei rami secchi
e di quelli che non danno più frutti.
Arriva poi il momento della
raccolta: occorre un paniere, alcuni sacchi di tela, la "pannuccia" (grembiule di tela), una scopa fatta con
frasche di castagno, rastrelli con denti di legno. Per il vitto: pane,
formaggio, rigatino o salsiccia, e da bere acqua e vino rosso.
Durante la raccolta delle
castagne, la giornata lavorativa va da "buio" a "buio",
cioè si parte prima dell'alba e si torna a casa dopo il tramonto.
Giunti nel bosco si riempiono
panieri di castagne e si travasa il contenuto, di volta in volta, nei sacchi di
tela sistemati, qua e là, a ridosso delle piante. E così per
lunghe ore. Al termine della giornata lavorativa si trasportavano le castagne
ai "seccatoi" un tempo con l'aiuto di asini o muli oggi con trattori.
Va detto che in alcuni casi venivano fatte le "ricciaie",
cioè si ammucchiavano i ricci chiusi per poi liberarne le castagne
servendosi di scarponi chiodati.
Le specie di castagne più
comuni che si producono a Subbiano sono: marrone (la più pregiata) e pistolese.
Le castagne raccolte vengono
portate, come detto, nei "seccatoi", oggi ubicati per la maggior
parte vicino alle abitazioni, un tempo soprattutto in mezzo alle selve di
grandi dimensioni. I seccatoi sono costruiti in pietra, a due piani. Il piano
terreno, con porta e finestra, ospita il fuoco, mentre il primo piano contiene
le castagne che vi vengono gettate attraverso una finestrella. La parte
inferiore del seccatoio è divisa da quella superiore per mezzo di
tavolette di castagno, distanti tra loro un paio di centimetri.
L'Italia ha una tradizione
culinaria unica al mondo: ogni regioni italiane possiede una gran
varietà di ricette, vini, e ingredienti e prodotti tipici. La Toscana,
terra fertile, favorita dagli inverni miti e dalle estati asciutte del clima
mediterraneo, porta in tavola le sue tipiche pane toscano, l’olio, i
formaggi e, soprattutto, i saporitissimi salumi.
La nostra cucina, semplice e nello
stesso tempo sostanziosa, legata alla tradizione della civiltà
contadina, era improntata essenzialmente sulla combinazione di elementi genuini
quali pasta, verdura, olio e vino: praticamente l’antica cucina del mondo
rurale (dal pane appena sfornato alla pasta fatta in casa).
Dalle nostre parti quando si parla di antipasto si parla di crostini e
sono o con il cavolo nero o neri… e crostini
neri un insieme di fegatini di pollo, di milza, acciuga e capperi.
La panzanella. Uno dei piatti
più semplici, buoni e noti della cucina nostrana, che trae origine
sempre dalla sana abitudine di riciclare il pane una volta raffermo. Si
potrebbe definire anche un'insalata a base di pane bagnato e strizzato, poche
verdure e aromi, condita il giusto e gustata a temperatura ambiente nella
calura estiva.
La minestra di pane e la
ribollita. E' questo un piatto emblematico della cucina toscana, nasce, come
accade dalla nostre parti, per riciclare gli avanzi, nella fattispecie la
ministra di pane o la zuppa di magro del giorno prima. La pratica di far
spiccare il bollore alle vivande avanzate, era un rimedio contro eventuali
processi di deterioramento in assenza di frigoriferi.
In Toscana i Medici favorirono la
cultura dell'olio dando avvio a quella che ancora oggi è una delle
maggiori risorse dell'agricoltura del nostro territorio.
L'olio di oliva è un
alimento fondamentale nella dieta di tutti e per tutte le età, nei mesi
di novembre-dicembre la raccolta viene fatta a mano o con l'aiuto di pettini
che fanno cadere le olive su reti posti a terra. Al frantoio, come quello di Castelnuovo di Subbiano, il porta il pane e una bottiglia
di vino novello per mangiare la prima "fettunta"
che è il modo migliore di assaggiare il buon olio nuovo.
Le pappardelle sono la versione
toscana casalinga della pasta all'uovo, che forse un tempo, nelle campagne
erano fatte solo di semola, senza il concorso dell'uovo, condite con un sugo
importante, per esempio di anatra, di coniglio, di funghi o di lepre.
Dalla tradizionale coltivazione
del castagno, molto presente sulle pendici dell'Alpe di Catenaia,
sopravvivono nel nostro territorio i piccoli e antichi seccatoi di castagne, e
a Falciano i mulini a pietra azionati dall'acqua, dove il movimento delle
macine è dato da un condotto ad acqua che aziona una pala di legno,
dotata di pale a cucchiaio disposte verticalmente per trasmettere energia
mediante un albero, il tutto per poter offrire una farina di castagne
eccezionale.
Così nel periodo della
raccolta tradizionali sono le sagre delle castagne e nelle case è
consuetudine gustare questo frutto della natura mettendo in tavola le
caldarroste o bruciate con il vino novello, le ballotte o il baldino.
Gli insaccati e i salumi sono
parte di una cucina rinomata in tutto il mondo, tra i salumi prodotti nelle
macellerie secondo le antiche tradizioni, come la finocchiona, il capocollo, il
salame, si può scoprire la gustosissima soprassata, in Casentino
chiamata anche "capaccia" o "capofreddo", un salume cotto fatto con la testa e la
lingua del maiale, oltre a cotenne e ritagli vari, bolliti, disossati, tagliati
a tocchetti regolari e pressati dentro un involucro di pesante tela da sacchi,
legato ai due capi.
Tra prosciutto e salsicce, cercate
di trovare in qualche macelleria che lo prepara direttamente il "sambudello", salsicciotto fatto di budello suino
riempito con impasto di sangue, milza, fegato, grasso, scarti di macellazione,
sale, pepe, aglio, peperoncino, odore di finocchio; insaccato che non è
cotto ma solo lasciato maturare brevemente.
CONTESTO
SETTORIALE E SITUAZIONE DI PARTENZA
L’Analisi di cui sopra ha
evidenziato una serie di debolezze sulle quali necessitano interventi al fine
di migliorare il territorio preso in considerazione dal punto di vista
culturale, sociale ed economico.
La carenza, o poca
funzionalità, di punti informativi per i giovani è una
problematica in cui le Pro Loco possono svolgere un ruolo di stimolo; tuttavia
la competenza specifica è demandata agli Enti locali.
Stesso discorso vale per quel
patrimonio culturale abbandonato, non catalogato, bisognevole di interventi
strutturali, carente di personale (e, pertanto, non visitabile) o poco
conosciuto per assenza di una adeguata azione di marketing.
Al riguardo,
-
i comma 3 e 4 art.1 del Decreto Legislativo
22 gennaio 2004 n.42 recitano testualmente: “Lo Stato, le regioni, le
città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la
conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e
la valorizzazione. 4.
-
l’articolo 9 della Costituzione
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico
della Nazione”.
GLI
ALTRI SOGGETTI PUBBLICI,
Nello svolgimento della loro
attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro
patrimonio culturale”. In ragione di quanto sopra, pertanto, anche in
questo caso il ruolo delle Pro Loco è limitato ad azioni di stimolo e di
sensibilizzazione, verso gli Enti preposti, affinché questi
“beni” siano fruibili, efficienti e “godibili”.
Le attività di
sensibilizzazione su problematiche territoriali nei riguardi dell’Ente
pubblico, come anche del privato, rientrano tra le iniziative “ordinarie”
che le Pro Loco conducono da sempre con tenacia, costanza e
professionalità.
Per quanto concerne il Settore
enogastronomico, alla luce di quanto sopra detto ed evidenziato, si ritiene in
definitiva che reindirizzare il futuro dell’alimentazione significhi:
·
valorizzare il serbatoio ricco e articolato della convivialità;
·
proteggere la varietà territoriale locale, in chiave espansiva;
·
trasferire la conoscenza e il saper fare come straordinari giacimenti di
ricchezza culturale;
· tornare
a un sano rapporto con il territorio e il contesto della materia prima, mirando
all’eccellenza degli ingredienti;
·
riprendere il valore del cibo come tramite di rapporto fertile fra le
generazioni, nella semplicità e chiarezza dei suoi benefici;
·
recuperare i sapori antichi capaci di essere rinnovati nel gusto contemporaneo;
·
diffondere la cultura del gusto e del saper vivere attraverso il cibo
autentico.
Azioni, queste, che vanno
indirizzate soprattutto ai giovani al fine di una corretta informazione/formazione
sul patrimonio culturale immateriale (enogastronomia).
Spesso le sagre rivestono solo un
carattere commerciale o solo una valenza attrattiva turistica arrecando danni
pesanti all'immagine del turismo e dell'enogastronomia locale per le troppe
truffe che offuscano l'importanza ed il valore, anche culturale, delle vere
sagre.
Con l’attuazione del
presente progetto si intende attuare iniziative atte a colmare una debolezza
evidenziata ed emersa dall’analisi di cui sopra: colmare quella lacuna
rappresentata spesso da un mancato connubio perfetto tra l'autenticità
gastronomica e le tradizioni del territorio da cui questa proviene, tentare di
ridimensionare quel disinteresse dei giovani verso le storia e verso quel
qualcosa che sa di antico o di “vecchio”, sensibilizzare il
cittadino ad una più attiva partecipazione alle iniziative
socio-culturali organizzate sul proprio territorio, stimolare lo spirito di
partecipazione, aggregazione, amicizia e appartenenza.
Attraverso il progetto la Pro
loco, i volontari e la comunità residente prenderanno coscienza
dell’importanza delle sagre non solo come oggetto di ricordo ma anche e
soprattutto come segno di identità, che possa anche servire da mezzo
virtuoso per riscoprire giacimenti, patrimoni e specificità tipiche
dimenticate nel tempo.
Quando si parla di storia ed
iniziative socio – culturali, queste vengono “legate”
imprescindibilmente al territorio.
L’approfondimento attraverso
il progetto servirà, ai giovani volontari e non, ad analizzare la sagra
come parte integrante dell'identità storica di una comunità e di
un paese, espressione della cultura materiale del territorio, se ha come
obiettivo la salvaguardia, la diffusione e la promozione del patrimonio
territoriale, se rappresenta un'occasione per la comunità locale
(operatori commerciali e non) per riflettere sulle proprie origini e sulle
proprie risorse e, infine se possiede almeno un passato di legame tra il
prodotto culinario e il suo territorio.
Il nostro territorio è ricco
di prodotti alimentari altrimenti introvabili, per cui le sagre devono
diventare occasioni imperdibili per divulgare la nostra vera identità
storica e per far meglio conoscere i nostri prodotti carichi di valori.
Colmare le carenze è il
fine del presente progetto, conoscere la nostra storia per non ricadere in
errori che facilmente le “ignare” generazioni possono commettere.
La ricerca sarà ben descritta successivamente, in fasi che verranno
attuate nei dodici mesi su cui il presente progetto si basa.
DESTINATARI
E BENEFICIARI
Destinatari principali saranno i
prodotti tipici oggetto dell’intervento progettuale, in particolare si
studieranno e ricercheranno i luoghi (la valorizzazione dei percorsi
enogastronomici esistenti), i racconti, le storie, le tipicità locali e
le tradizioni ad esse legate.
Beneficiari si possono considerare le
famiglie dei giovani per la crescita culturale di questi ragazzi; le aziende
produttrici e tutte le realtà dell’indotto enogastronomico.
Inoltre potranno considerarsi
beneficiari anche i partecipanti alla rievocazione che avranno
l’opportunità di una crescita personale che si svilupperà
sia attraverso l’acquisizione di competenze specifiche, sia attraverso la
maturazione di una maggiore coscienza civica e solidarietà sociale.
Il progetto si articola in tre moduli:
Cronoprogramma della
“Rievocazione storica della cultura contadina”
1° domenica di Settembre -Subbiano
Mostra campionaria del bestiame, l'evento è patrocinato dal Comune di Subbiano e dalla Regione Toscana.
2° domenica di Settembre- Subbiano
L’associazione
Pro Loco di Subbiano organizza la rievocazione storica della festa
dell’uva e l'evento è
patrocinato dal Comune di Subbiano.
Torna l'appuntamento che assume ormai da anni, a partire dagli anno ottanta, una notevole rilevanza dal punto di vista culturale e storico in quanto si tratta della rievocazione storica della semina, della mietitura e della battitura del grano che coinvolge la popolazione non solo del nostro territorio ma anche gli alunni della scuola primaria. L'iniziativa si svolge come sempre a scopo benefico in quanto l'intero ricavato sarà devoluto in beneficenza alle associazioni di volontariato che operano nella nostra città e nel nostro territorio provinciale.
Immancabile
ogni anno l'appuntamento a Subbiano, paese immerso
nella splendida cornice della valle casentinese,
dell'oramai tradizionale e famosa Festa dell’Uva. Nel periodo che va tra
Settembre e Ottobre di ogni anno in tutte le regioni d'Italia si svolgono
manifestazioni di questo genere, che tendono a valorizzare non solo il frutto e
la stagione in sé, ma tutta la cornice di gusti, odori e colori
caratteristica di questo periodo. Passeggiando per le strade del paese di
Subbiano si possono trovare ed osservare bancarelle che espongono prodotti e
specialità enogastronomiche.
Non
sono mancate anche qui bancarelle di piccoli artigiani che
riportano alla luce piccole attività e mestieri oramai scomparsi.
Avvolti in questa atmosfera di cordialità e simpatia tra la gente, oltre
a tantissime e variopinte iniziative, si svolge nel pomeriggio della Domenica
il tocco finale, e cioè la famosa sfilata di carri allegorici
completamente addobbati di acini di uva, veri capolavori di maestria e
fantasia. Un vero complimento va quindi a chi organizza simili eventi che tendono
a valorizzare e mantenere non solo il territorio, ma i suoi costumi, le
tradizioni e la propria cultura di generazione in generazione.
La
giornata finale della Festa di Finestate si apre con il Mercatino del tempo che
fu che, fin dalle prime ore del mattino, anima le strade del centro storico con
la suggestiva rievocazione dell'antico mercato contadino di scambio e di
vendita di prodotti locali di artigianato e di produzione agricola.
2° domenica di Settembre
Subbiano
La
sagra dell'uva, come ogni altra manifestazione
d'uguale tipologia, nasce dall'esigenza di manifestare la gioia ed il
ringraziamento a madre natura per un raccolto abbondante, come una sorta di
celebrazione corale e liberatoria in cui culmina la vendemmia. Alcune sagre,
come quella dell’uva, hanno una profonda tradizione storico/culturale
alle spalle, facendole risalire ai culti bacchici, della vite e del vino, due
principi generatori di vita. Queste sagre, giunte fino a noi ebbero
un'esplosione ed una codifica in epoca fascista, un'epoca in cui l'Italia
portava il peso delle sanzioni inflittegli dalla Francia e dall'Inghilterra.
Fare festa e organizzare sagre, era un modo per coltivare il culto delle
tradizioni ed un modo per dire al mondo che in ogni modo il morale degli
italiani era ancora alto e che le risorse erano ancora tante.
La manifestazione, così
denominata in onore delle usanze, costumi e tradizioni contadine che intende
rievocare, si svolge a partire dalle prime ore del pomeriggio nelle strade del
paese con sfilata in costumi contadini dell'ottocento di carri dell'uva ed
è allietata dalla presenza di bande musicali e gruppi folkloristici in
costume.
La sagra dell'Uva, si tiene
solitamente nella prima decade di settembre, oltre
che la dimostrazione di gioia ed il ringraziamento a madre natura per i frutti
della terra, é anche il modo di confrontarsi tra le frazioni del comune,
allestendo i carri allegorici con tralci d'uva, simboleggianti spaccati di
civiltà contadina che rievocano fasi della vendemmia e dei lavori agricoli
dei tempi passati.
Apre la sfilata il carosello di
cavalli con carrozze dell'800-'900, segue il corteggio storico in costumi
d'epoca medioevale che raffigurano i nobili, i prelati, gli armigeni
ed il popolo di quei tempi, accompagnato dal gruppo di sbandieratori e dei
suonatori di tamburi e chiarine.
I costumi sono stati realizzati
ispirandosi con estremo rigore (e quando possibile adoperando vecchi tessuti di
broccato e damasco) a dipinti di Piero della Francesca e di Masaccio (1380
– 1450) avvalendosi di capaci artigiani. Il gruppo rievoca con una
suggestiva rappresentazione, l’atto di sottomissione della
balìa di Subbiano alla repubblica Fiorentina.
La figura dello Sbandieratore
è da ricondurre, tramite molte mediazioni, ad una figura fondamentale
dell’esercito, quella del “vessillifero”, termine preso in
prestito dal gergo militare romano, che indica un soldato di elite, colui che
porta la bandiera del suo reparto in guerra. Il suo ruolo era fondamentale
per le sorti della battaglia, perché doveva mantenere il possesso del
vessillo in modo da segnalare la posizione degli uomini sul campo. In
particolare doveva essere in grado di lanciare in alto la bandiera al suono
delle trombe, in modo da rendere visibile la sua posizione e passare il
vessillo ad un compagno, nel caso in cui i nemici fossero sul punto di
sopraffarlo. Gli alfieri, altro termine con il quale si indicavano i
vessilliferi, erano obbligati a tenersi in esercizio anche durante periodi di
pace e si preparavano in maniera specifica a lanciare le bandiere per meglio
adempiere al proprio compito. Probabilmente in quei momenti si comincia a
escogitare evoluzioni sempre più ardite fino a dare origine a quello che
verrà conosciuto come gioco delle bandiere. E’ impossibile stabilire
quando si costituì ufficialmente questa gara di abilità, ma
è certo che fosse popolare fin dalle guerre di Borgogna nel
1476. Una prima codifica dei movimenti fu redatta nel 1616 da Renner und Ranzler e poi riedito
in forma del tutto simile da J. G. Pasha nel 1661, la
pubblicazione più recente invece è del 1908 da parte di J. Mùller e illustra i movimenti di giochi di bandiera
tedeschi. E’ ricordata dagli storici la manifestazione che
coinvolgeva appunto gli Sbandieratori di Milano, allorchè
nel 1512 Massimiliamo Sforza entra in città,
salutato dalle bandiere triangolari ad asta corta, che volteggiavano festose
nell’aria. Infine l’uso delle bandiere è registrato in
Toscana fino dalla metà del XII secolo, secondo gli scritti lasciati dal
Villani e in base alle cronache cittadine delle città di Firenze e Siena
che vorranno tale gioco prima delle gare di calcio e della corsa del
Palio. Verso la fine del XVIII secolo il gioco della bandiera perde la
propria utilità in campo militare è rimane esclusivo deposito
delle comunità civili, così come si spegne anche
nell’ambito cittadino. In Italia la tradizione del gioco delle
bandiere vive con una sua significativa continuità storico, solo a Siena
in occasione del Palio; sono degne di menzione anche le scuole del
Trentino Alto Adige a quella Aretina (Estratto da “Gli Sbandieratori
della giostra d’Arezzo” di Chiara Barbagli, Zona Editrice).
“Nell’anno
dell’incarnazione del Nostro Signore Gesù Cristo 1384, indizione
ottava, giorno 13 del mese di dicembre. Disposto in Firenze nel Palazzo del
popolo fiorentino, davanti ai dieci officiali di Balia del Comune di Firenze,
convocati nel detto Palazzo, Angelo del fu Marco del Comune e castello di
Subbiano, contea di Arezzo, sindaco della Comunità e degli abitanti di
detto castello, spontaneamente e liberamente, senza alcun dolo e timore e nella
forma che meglio poté, assoggettò e sottomise in perpetuo e dette
liberamente al Comune di Firenze, il predetto castello e Comune di
Subbiano.”
In realtà
l’atto di sottomissione fu il riuscito tentativo della Comunità subbianese di impedire la distruzione del castello da parte
di Firenze, l’ottenimento di privilegi ed amnistie a vario titolo e la
protezione da parte della città di Firenze. Da quell’episodio
sarebbero passati pochi anni quando Subbiano si sarebbe dato propri statuti e
sarebbe tornato un libero comune.
Presso la sede del Gruppo
Rievocazioni Storiche di Subbiano dove fanno bella mostra gli stendardi delle
antiche famiglie subbianesi ,come quello degli
Alberti di Catenaia e dei Della Fioraia, ricamati a
mano e gli abiti di dame, armigeri e signori del 1300 realizzati da mani
sapienti e secondo i dettami storici per i figuranti del Gruppo molto richiesti
sia in Italia come a Roma, Avellino, Aosta sia all'estero come Francia, Corsica
e Germania.
Col tempo detta manifestazione ha
svestito i panni della semplice celebrazione della vendemmia, accompagnata da
canti e balli, trasformandosi in manifestazione a carattere popolare,
rievocativa della civiltà contadina arricchendosi di simbologia e
tematiche augurali, una sorta di scaccia pensieri, per potersi ricaricare dalla
stanchezza, un rito per esorcizzare le preoccupazioni, per vendemmie sempre
più ricche, una festa pagana portata ai nostri giorni.
Un gran successo di pubblico forse
oltre le più rosee previsioni per le più recenti edizioni.
Lo spettacolo dei Carri Allegorici ha attirato migliaia di appassionati, entusiasti per la riproduzione delle scene del lavoro contadino nelle campagne degli anni passati, nelle trasposizioni sui carri allestiti dalle varie frazioni di Subbiano (Calbenzano, Casa la Marga, Castelnuovo, Chiaveretto, Falciano, Vogognano) e altri carri che distribuiscono uva, dolci, caldarroste, vino, vinsanto e non può mancare il famigerato Moscatello.
Tutti i carri sono in concorso per
vincere l'ambito premio "Carro più bello".
La Festa dell'Uva, ormai
appuntamento fisso e tradizionale del paese di Subbiano, ha fatto registrare
nelle più recenti edizioni un'affluenza record di presenti, grazie anche
allo spettacolo degli sbandieratori e dei musici di Arezzo.
Foto
attestante una delle primissime edizioni, ripresa poi dall’Associazione
Festiera
negli anni ’80 ed oggi, nel 2019, 36^ edizione.
BIBLIOGRAFIA
IL
CASENTINO.
Territorio, storia e viaggi di Leonardo Rombai- ed. 2012.
SULLE
ORIGINI DI SUBBIANO. Studio astronomico-astrologico
sulla fondazione del paese di Subbiano nel basso casentino di Renzo Baldini- ed. 2010.
VECCHI
RICORDI DI SUBBIANO E DINTORNI di Necci
Massimo. Ed. 2006.
CATENAIA
E I CATENAIOLI: Storia di un paese e del suo bosco: “La Bandita
dell’Alpe”.
Di Luciano Maestrini e Lia Rubechi.
Ed. 2013.
SUBBIANO
DA PODESTERIA A COMUNE
(1384-1946) di Luciano Maestrini e Lia Rubechi ed. 2018.
STORIA
DI SUBBIANO
di Pier Antonio Soderi. Ed. 2009.
BREVE
STORIA DELLA TOSCANA
di Remo Fattorini, Sandro Rogari, Marcello Verga e
Alessandro Volpi. Ed. 2008.
ALCUNE
IMMAGINI del MERCATINO e della RIEVOCAZIONE delle varie edizioni