PROGETTO "RIEVOCAZIONE STORICA DELLA FESTA DELL’UVA  E MERCATO DEL TEMPO CHE FU”. RIVIVERE PER CAPIRE. LA RIEVOCAZIONE STORICA COME METODO DIVULGATIVO DEL PATRIMONIO CULTURALE E STORICO DELLA CIVILTÀ’ CONTADINA.

Attraverso la  conoscenza del proprio territorio e le sue più profonde radici culturali per promuovere una cittadinanza consapevole.

 

   La conoscenza del proprio territorio e le sue più profonde radici culturali per promuovere una cittadinanza consapevole: in tale prospettiva è nata molti anni fa e prosegue l’idea di rilanciare le radici, non solo del paese di Subbiano, ma di tutto il suo territorio, che regge l’urto del tempo e che si tramanda da secoli con l’iniziativa "RIEVOCAZIONE STORICA DELLA FESTA DELL’UVA  E MERCATO DEL TEMPO CHE FU”.

   Il modo migliore per presentare il Progetto, promosso dall’Associazione Pro Loco di Subbiano, che ha tra le proprie finalità statutarie la promozione e valorizzazione delle tradizioni della comunità locale, è quello di prendere spunto da un famoso verso di Dante della Divina Commedia:

Fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.

   Le piccole cose, a volta trascurate e sottovalutate, possono essere lo spunto per nuove discussioni e per un analisi più profonda degli avvenimenti quotidiani, allontanando quel senso di superficialità e creando le basi per un impegno concreto. 

  Più il progresso ci spinge a vivere in modo frenetico, più ci si rende conto dell’importanza della riscoperta di antichi valori che ci rendano effettivamente parte di una comunità attiva, in grado di costruire il proprio futuro tenendo sempre presenti le sue origini.

 

Modello del progetto

   Il Progetto ("RIEVOCAZIONE STORICA DELLA FESTA DELL’UVA" E “MERCATO DEL TEMPO CHE FU”) è stato creato, organizzato e ricostruito dall’Associazione Pro loco di Subbiano, utilizzando il modello della “RIEVOCAZIONE STORICA”, alternativo ad altre modalità di divulgazione a disposizione (grafiche, informatiche, testuali) per la valorizzazione e divulgazione dei beni storici e delle tradizioni culturali  del territorio.

   Il progetto, che racchiude nel nome la sua stessa descrizione è stato organizzato per la prima volta negli anni 80 e ha superato la 35° Edizione.

Nell’anno 2018 inoltre l’evento è stato registrato come target presso la SIAE e depositato come marchio del “Mercatino del Tempo che Fu” e della “Rievocazione della Festa dell’Uva”.

   Il progetto si prefigge l’obiettivo di rappresentare la replica fedele di uno spaccato della civiltà contadina nel paese, con lo scopo di creare un contatto emotivo con il pubblico, offrendo alle persone la possibilità di poter osservare da vicino ricostruzioni di oggetti e di scene di vita appartenenti ad epoche ormai passate, che hanno rappresentato la quotidianità economico-sociale-culturale per secoli nel territorio locale.

   Questa modalità di offerta culturale, presenta dei benefici in termini di aumento dei visitatori, visibilità del patrimonio comune e maggiore comprensione del passato ed ha fin dalle primissime edizioni riscontrato ampia collaborazione nelle Istituzioni e nello stesso pubblico presente.

 

Cos’è la Rievocazione storica?

   La rievocazione storica è, a grandi linee, un modello tutt’oggi non regolamentato che opera nel settore culturale.

   Lo stesso è il frutto dello spontaneo e genuino desiderio di perpetrare nel tempo e nella memoria uno stile di vita che ha permeato il territorio dal punto di vista sociale, culturale ed economico per centinaia di anni e che, a causa del profondo cambiamento di stila di vita dehli ultimi decenni, rischia di perdersi anche nella memoria.

   Il progetto è frutto di un continuo lavoro di studio e preparazione, che comprende la teatralizzazione di scene di vita quotidiana ma anche di grandi episodi storici (“Atto di sottomissione a Firenze delle nobili casate”  – Firenze, 13 dicembre 1384) l’organizzazione di eventi culturali, conferenze, il lavoro artigianale di riproduzione di oggetti del passato, passando per figuranti o aiutando altri specialisti del settore della cultura nelle loro attività.

   Le caratteristiche che contraddistinguono il rievocatore sono i suoi abiti.

   Grazie al vestiario e gli accessori (abbigliamento era limitato all’essenziale. Per l’uomo i pantaloni di fustagno, il panciotto, la giacca di fustagno, camicie bianche o a quadri e il cappello a falde, ai piedi zoccoli o scarponi, per le donne gonne con davanti un grembiule, scialli e mantelline ed in testa la pezzuola. Le donne accudivano la casa, gli animali da cortile e aiutavano nel lavoro dei campi. I mezzi di trasporto erano pochi: animali da soma, quali la miccia, il mulo, più forte e anche più costoso, qualche famiglia il cavallo e il calesse e i barocci).

   In un mondo in cui la tecnologia ha presso il sopravvento, la rievocazione storica ci insegna come si viveva senza computer, cellulari, tv o radio.

   Il rievocatore viaggia nel tempo per portarci al presente oggetti che possiamo toccare con le nostre mani, con cui possiamoesperimentare e riuscire ad intendere i lavori artigianali o la vita privata dell’epoche ormai passate, conoscere le identità, la storia, la cultura e didattica, ma anche divertimento…

   Ecco i motivi per i quali si propone il Progetto di rievocazione storica come diversa e nuova tipologia di offerta turistica, in quanto di per sé può contenere elementi di risposta alle esigenze che si vanno sempre più manifestando: divertimento educativo, spettacolo ed emozioni, soprattutto se costruita per una partecipazione ATTIVA!

 

   La rievocazione storica di per sé crea spettacolo, offre occasione di divertimento educativo, provoca emozioni in chi la vede ma soprattutto in chi la vive.

   Il turismo esperienziale insegna che il cliente vuole sentirsi protagonista di un evento che vede accadere coi propri occhi “sul palcoscenico del territorio”. Quale occasione migliore dunque, se non quella di calarlo all’interno di una vicenda che faccia rivivere in prima persona la Storia?

 

   Quindi il progetto "RIEVOCAZIONE STORICA DELLA FESTA DELL’UVA" offre l’opportunità di fare un primo importante passo verso la valorizzazione delle competenze che, anche nella rievocazione storica, permettono di far vivere esperienze uniche, memorabili, indimenticabili.

 

Premessa

   Il mutamento sociale è il cambiamento che si produce nelle strutture e nelle istituzioni dei sistemi sociali. Quando si parla di mutamento dalle società antiche a quelle moderne si fa riferimento ad un insieme di cambiamenti che investono tutte le sfere del tessuto sociale, dal lavoro alla politica, dalla comunicazione alla famiglia, ivi compresa anche la cultura enogastronomica, i quali sono causa ed espressione stessa del mutamento.

   Il mondo contadino aveva la necessità di avere un cibo sostanzioso e nello stesso tempo “breve” in quanto anche le donne si recavano in campagna e, rientrando la sera dopo il lavoro, avevano la necessità di mettere in tavola tanto da sfamare una intera famiglia, spesso molto numerosa.

 

   Diversamente il mondo industrializzato pretende sostanzialmente un rivoluzionario mutamento delle abitudini alimentari; la vita più frenetica, la donna che inizia a lavorare e a stare sempre più tempo fuori casa, il sempre più crescente spostamento delle spese familiari invertono la rotta alimentare verso una cucina più sbrigativa, più veloce ed anche più economica, proporzionata al nuovo stile di vita. Nascono così le pizzerie e i fast-food, crescono le attività che propongono una ristorazione veloce. Nascono così alimenti già preparati industrialmente, nasce così anche il cosiddetto “cibo spazzatura” una tipologia di cibo considerato malsano a causa del suo bassissimo valore nutrizionale e la ricchezza di grassi o zuccheri.

   Fenomeno questo che, anche se in tempi diversi rispetto a quello nordico più industrializzato, ha interessato il nostro territorio, in passato prettamente agricolo.

   Anche l’evoluzione dell’agricoltura ha avuto il suo peso nel radicale mutamento delle abitudini: dall’agricoltura intesa come arte di coltivare i campi, si è passati ad un’agricoltura moderna fatta da tecnologie avanzate e da un esagerato sfruttamento delle terre.

   Negli ultimi anni, grazie soprattutto ad una maggior consapevolezza culturale nei consumatori, si è assistito ad uno spostamento del mercato alimentare verso una valorizzazione di alimenti più di qualità e verso un maggior rispetto di alcune forme di produzione sino ad arrivare ai nostri giorni in cui l’attenzione alle cucine tipiche regionali si è unita alla questione della tutela del territorio e ai temi della biodiversità e dell’eco-compatibilità ambientale.

    Dappertutto si è accentuata la consapevolezza della complessità culturale del cibo ed oggi la tutela delle gastronomie regionali implica la tutela delle identità locali, come attestano anche alcune trasmissioni televisive dedicate a cibo e territorio. Ricostruire le gastronomie locali comporta il recupero non solo di ricette, ma di modalità di cottura, presentazione del piatto, usanze conviviali che racchiudono stili di vita, modelli etici e familiari. Si parla sempre più spesso di paesaggi gastronomici, sottolineando con tale espressione la consapevolezza sempre più diffusa dell’unione tra ambiente, agricoltura e cultura.

   Con il presente progetto si mira d evidenziare il cambiamento che il cibo, elemento primario per la sopravvivenza della specie umana, ha avuto nel passaggio tra il mondo contadino e quello moderno industrializzato; mutamento questo avvertito anche e soprattutto nel nostro territorio, storicamente contadino.

   Attraverso l’osservazione di tutte quelle manifestazioni legate ai prodotti della terra, alla cultura e alla musica popolare, alla fede e ai lavori artigianali si cercherà di offrire un contributo nell’analisi territoriale di quel mutamento cultural-gastronomico che ha interessato il territorio nell’ultimo trentennio.

   Pur se spesso le sagre, di cui le Associazioni Pro Loco sono storicamente e statutariamente le depositarie, non hanno origini remote ma spesso rappresentano solo una recente pratica festiva a vocazione turistica, si metterà in evidenza il legame che lega le pratiche del presente alla storicità territoriale culinaria

 

  La rievocazione è evento che ripropone scene di vita e di lavoro nonché i piatti e i sapori tradizionali dell'antica civiltà contadina del territorio subbianese. Carri trainati da buoi ed asini, aratri, forconi, semina con la falce, mietitura e battitura del grano riemergeranno dal passato a testimoniare una vita fatta di fatiche e precarietà ma anche di gioie, semplicità e socialità.“

 

L’area di intervento (territorio coinvolto nel progetto)

 

   Arrivando a Subbiano da sud, si può godere di una piacevole vista della torre longobarda che si trova accanto al castello e che si affaccia sulle rive dell'Arno, che si riflette nelle sue acque proprio come la parte più antica del paese, con le sue storiche abitazioni e al vecchio mulino.

   Il Centro di Documentazione della Cultura Archeologia è anche interessante, se si considera che in questa parte del comune, sono stati scoperti i resti di insediamenti di 3.000 anni fa. L'area più popolare era una volta l’Alpe di Catenaia, sede di antichi clan che allevavano bestiame. La montagna - dove la presenza di acqua l’ha resa particolarmente fertile per la vita vegetale, vantando foreste di querce, castagni e faggi - è il luogo ideale sia per turisti in vacanza che per escursionisti esperti, che possono trovare percorsi più adatti per il loro livello di abilità sopra 1.100 metri. I mulini ad acqua di Falciano, che punteggiano le pendici della montagna, sono un altro must da vedere, così come il vicino Castello di Valenzano. Colline di oliveti e vigneti accompagnano la discesa verso il fiume, e nell’antico Borgo si dispiegano lungo le sponde dell’Arno, il vecchio mulino, piazzette storiche e  il Castello con la fiera Torre Longobarda.

   L’ospitalità è offerta da confortevoli alberghi, residenze storiche, bed and breakfast, agriturismi e area sosta per i camper, mentre a tavola si gustano prodotti locali, veri giacimenti, di un tempo passato.  Subbiano, a pochi chilometri da Arezzo, è un modo per conoscere al meglio il cuore della Toscana Aretina, posto come ingresso al Casentino terra del Parco delle Foreste Casentinesi e della Verna, è poco lontano da Sansepolcro, città di Piero della Francesca, e vicino a Cortona.

Subbiano è una terra in cui convivono bene contemporaneità e tradizione e dove il rapporto uomo-ambiente è ancora salvaguardato. Qui sono ancora vive le tradizioni ed il ricordo della vita di un tempo, nonostante i radicali e tumultuosi cambiamenti avvenuti nella vita di tutti i giorni dalla industrializzazione.

   Nel punto dove la piana aretina restringendosi gradatamente si esaurisce nella stretta gola che da l'accesso alla vallata casentinese inizia il territorio di Subbiano alla cui guardia, sopra una rupe e incorniciata da alteri cipressi, è posta la massiccia torre quattrocentesca del Castello della Fioraia.

   Lo scenario di Subbiano si allunga con armonia lungo l'Arno che qui ha già le caratteristiche di un giovane fiume, con le acque chiare dalle rive inghiaiate, per poi fuggire verso l'alto sino al Monte Castello e Monte Altuccia dove si confondono i confini tra Casentino e Valtiberina, tra Subbiano e Caprese Michelangelo.

   Una terra mutevole nei colori come la tavolozza di un pittore e capace di segnare lo scorrere del tempo e il passare delle stagioni... Ocra e rosso in autunno, verde cupo e marrone in inverno, verde tenue in primavera, giallo e verde intenso nella stagione delle messi. Ambiente che offre spunti al fotografo per fermare gli attimi della vita e al viaggiatore per sostare in tranquillità seppure a due passi dalla città.

   Un luogo dove fermarsi a gustare i piatti tipici casentinesi e per la Strada del Vino degustare i vini aretini che hanno saputo frasi apprezzare.

   Una terra capace di offrire ospitalità in ottimi agriturismi per vivere a contatto con la natura e il mondo agreste, in case vacanze inserite in piccoli borghi dove il tempo sembra essersi fermato, in alberghi semplici e familiari o in relais prestigiosi.

   Un luogo dove scoprire l'artigianato locale come la lavorazione del ferro battuto, percorsi museali come il Centro di Documentazione Archeologica Giano e ancora la torre longobarda e castelli come quello di Castelnuovo e di Valenzano.

 

CONTESTO TERRITORIALE

   Un territorio in prevalenza collinare-montano che si estende per 78,24 chilometri quadrati, con una popolazione di oltre 6700 abitanti, con Subbiano che dista da Arezzo solo 14 chilometri e che offre un ottimo collegamento sia con la città che con l'alto Casentino grazie alla linea ferroviaria Arezzo-Stia e alla strada statale 71 umbro-casentinese che consente agevoli itinerari giornalieri con i luoghi della fede come la Verna e Camaldoli, itinerari ambientali come il Parco delle Foreste Casentinesi e il Pratomagno, itinerari artistici come il Castello dei Conti Guidi a Poppi, il Castello e la Pieve di Romena, il Castello di Porciano, con un collegamento veloce con la provinciale della Libbia che collega Arezzo con Anghiari per i percorsi di Piero della Francesca.

 

PATRIMONIO CULTURALE E PAESAGGISTICO

   Il paese di Subbiano, con il paesaggio collinare che fa da cornice, è caratterizzato da terrazzamenti con coltivazioni di viti e ulivi. Nei campi si coltivano ancora foraggio e cereali, al margine dei campi si sviluppano boschi e querce e castagni.

   L’agricoltura e l’allevamento sono effettuati a livello familiare e speso come attività secondaria.

   La presenza dell’uomo nel territorio risale a epoche molto remote, poiché il luogo è stato via di transito naturale dal Casentino verso Valtiberina e la zona aretina.

 

   Tra i concittadini subbianesi degni di nota storica, l’eminente subbianese Orazio Lapini, (Subbiano 15 giugno 1859 - 9 aprile 1933), poeta e scrittore, nato da famiglia nobile aretina, autore di numerose pubblicazioni, che ha rivestito una grossa importanza per tutto il territorio aretino in quanto, fra la fine dell’ottocento ed i primi trent’anni del novecento, ha colmato un vuoto culturale che ha riguardato non solo Subbiano ma anche la città di Arezzo.

La sua importanza è legata anche al fatto che fu un grosso finanziatore dell’Accademia Petrarca, per la quale creò un fondo che servì a reperire moltissimi libri e trattati riguardanti il Petrarca, oggi raccolti e catalogati all’interno della biblioteca dell’Accademia.

In alcune poesie tratte dalle sue raccolte esalta Subbiano e il suo territorio.

LA DOLCE TERRA NATIA

L’Arno rifrange l’azzurro del cielo

E in iridi a lui l’avventa;

Or la brezza lo stuzzica e lo tenta;

L’arruffa e increspa quel serico velo.

Par che i fiori si drizzin dallo stelo

E il rosmarino, la salvia e la menta,

tutta dei campi la dolce sementa,

a gara fanno di profumo e zelo.

Trillan gli uccelli allora il concertino

E i monti fan da sfondo e da scenario

E il fiume svolge il suo nastro argentino.

Subbiano intanto, bianco armento al sole,

s’adagia nel riposo al verde vario:

fa da pastor la longobarda mole.

 

VIN DI SUBBIANO

Gli Dei nei loro conviti e nei festini

Ti posson ber così, o bionda albana,

che godi il sol come gatta soriana

coi tuoi grappoli biondi: i tuoi micini!

O dolce nei tramonti settembrini,

quando pompeggia al sole ogni ponzana,

veder che la promessa non fu vana

di far ricolmi gli aspettanti tini.

Dagli strettoi già cola il mosto a fiotti

Denso, biondo, qual olio silenzioso

Che farà altere le capaci botti.

Questo e il vin bianco nostro di Subbino

Che al paese darà nome famoso

Come l’Orvieto ed il Montepulciano.

 

Ministoria del territorio di Subbiano

   E’ probabile che già nel periodo Eneolitico (età del rame – 3.000-1.000 a. C.) lungo le pendici e sulle alture dell’Ape, esistessero villaggi di popolazioni nomadi dedite alla pastorizia, all’allevamento del bestiame ed a una forma primitiva di agricoltura.

   Si trattava di popoli italici, tra cui gli Umbri e forse i Liguri, che conobbero la lavorazione della pietra e nel tempo quella dei metalli. Popolazioni dedite al culto del sole, considerato fonte di vita; un dio a cui furono dedicati riti e rudimentali monumenti di pietra.

Epoca etrusca

   Verso il settimo secolo a.C. questi popoli vennero a contatto con gli Etruschi, popolo civile e raffinato che diffuse l’artigianato, la coltivazione della vite e dell’olio e l’uso di strumenti agricoli come l’aratro, la zappa e la falce.

   L’economica prevalentemente agricola si mantenne con queste con queste caratteristiche per secoli.

 

Epoca romana

   Quando i Romani sottomisero l’Etruria (tra il IV e il III secolo a.C.) ebbe inizio anche la romanizzazione del territorio di Subbiano, cui seguì la creazione di una fitta rete stradale spesso costruite su antichi sentieri dei greggi.

   Grazie allo sviluppo delle vie di comunicazione, una parte degli abitanti delle alture, dediti alla pastorizia, si spostò in basso, nella zona collinare, dove molte terre furono dissodate e rese coltivabili.

   Etruschi e romani introdussero nel territorio anche la loro forma di pratica devozionale: gli etruschi il culto delle divinità e l’osservazione dei segni celesti e degli astri, i romani, pur restando fedeli al culto del sole e dell’acqua, diffuso i culti di venerazione degli dei pagani: Giove, Giunone, Minerva, Marte ecc.

   Anche il Dio Giano o Janus, venerato dai Romani come Pater perché simbolo del sole, che simboleggia l’inizio e la fine di ogni cosa, dalla cui espressione latina Sub Jano conditum, cioè costruito da Giano o al tempo di Giano, il nome Subbiano trarrebbe origine.

Janus è una delle prime divinità delal gente italica, il suo nome deiva da “porta”, veniva rappresentato come un Dio bicefalo, cioè con due teste: una (testa di giovane imberbe) guardando avanti verso il futuro, l’altra (testa di uomo barbuto) rivolta indietro quindi al passato. Giao era dio delle porte, quindi anche di tutti gli inizi, di una storia, di una vita umana, di una impresa, addirittura di tutti gli Dei, chiamato perciò Ianus Pater.

   Con il diffondersi del Cristianesimo scomparve il culto dei vecchi dei, i cui templi furono abbattuti e talvolta trasformati in luoghi di devozione e di fede cristiana.

   Dopo la caduta dell’Impero romano (476 d.C.) ebbero inizio le invasioni barbariche. Per quasi cinquecento anni i territorio furono devastati da popolazioni in cerca di terre fertili dove stabilirsi.

   Il territorio di Subbiano fu conquistato inizialmente dagli eserciti bizantini che, dopo essersi insediati, costruirono sulle alture i primi fortilizi di avvistamento e difesa contro le successive invasioni dei Goti e dopo, forse nella prima metà del VII secolo, arrivarono i Longobardi che penetrarono nella vallata casentinese dalla Consuma e si accamparono nei pressi Castelnuovo (Campus barbarentis).

   Certamente il castello che i Longobardi edificarono a Subbiano non è quello dell’attuale torre. Le fortificazioni barbariche no furono dei veri castelli, si trattava di torri di vedetta, recinti, in parte interrati, una specie di trincea con opere di difesa in muratura o legname, detti gardinghi.

   Il ripiano roccioso, alla confluenza dei due corsi d’acqua, l’Arno e il Palbena, era un ottimo punto di controllo della strada e del passaggio del fiume, qui sorse probabilmente nello stesso punto di un precedente castrum bizantino.

Medio Evo

   In epoca medioevale intorno alla torre si sviluppò il piccolo feudo.

   La struttura attuale della torre si può riferire ai secoli XI e XII, non è risaputo se la torre alla sommità avesse merlature e le piombature, la feritoria ed il lato nord su cui poggia sono di epoca medioevale, mentre la torre è stata oggetto di restauro nel XX secolo.

   Il periodo di maggiore prestigio, sia come dimora feudale che come avvenimenti storici, fu forse dalla metà dell’anno mille a tutto il milleduecento, nell’epoca dei contrasti fra il feudalesimo ecclesiastico (Guenfi) e il comune di Arezzo (Ghibellini).

   Nell’ambito del sistema feudale rientravano anche gli ecclesiastici. Oltre alla chiesa aretina si erano insediati nel possesso di corti e castelli vicino a Subbiano, anche gli abati di S. Fiora e di Campoleone.

   Il monachesimo era sorto nella metà del sec. VI, durante il periodo delle invasioni barbariche, acquistando forza l’ordine di S. Benedetto che divento centro di attività culturali, economiche e produttive. Secondo la Regula di S.Benedetto i lavori agricoli erano al primo posto.

   Fin dall’epoca dell’occupazione longobarda, che spezzò l’unità d’Italia, gli stessi si insediarono nelle terre conquistate secondo le forme dell’ordinamento familiare (fara) costituito da famiglie alle quali era affidato il possesso e la difesa dei territorio, divisi in ducati.

   L’economia che andò a formarsi era di tipo curtense, quindi la vita economica e sociale si svolgeva quasi interamente al suo interno, essendo scomparsi quasi del tutto i commerci. Per tutto il Medioevo l’agricoltura costituirà l’attività preminente a cui rimasero legale quasi tutte le classi sociali.

   Dai documenti storici la curtis si riscontra a Subbiano, Montegiovi, Falciano, Castelnuovo, Valenzano, Vogognano.

   Accanto agli ecclesiastici erano i proprietari laici, ricordando i Fuscheri, I Sassoli a Montegiovi, gli Alberti e i Grinti in Catenaia e gli Umbertini a Valenzano.

   Nel tempo, verso la fine del X secolo, la crescita delle forze produttive dette avvio ad un lento processo evolutivo della struttura agraria che portò ad un nuovo ordinamento della proprietà fondiaria e a un diverso assetto del paesaggio agrario, verso la nascita dell’azienda agraria moderna con il sistema poderile.          

   Dal 1253 non si rinvengono notizie di rilievo su Subbiano fino al periodo dei Tarlati, riconquistando tutti i territori perduti negli anni delle discordie tra Guelfi e Ghibellini, che trovò il tragico apice con la battaglia di Campaldino del 1289.

   Nel 1311 i capi riuscirono ad incontrarsi e firmare la pace (1311) fra i Bostoli guelfi e i Tarlati ghibellini e trattava la sottomissione per 10 anni della città di Arezzo a Firenze.

   Nel 1312 Guido Tarlati, fu nominato vescovo e signore “a vita” della città di Arezzo, di cui risollevò le sorti politiche dopo la sconfitta di Campaldini, avviando una fase di intenso sviluppo economico e urbanistico.     

   Il governo di Firenze, per potersi assicurare la supremazia su tutto il territorio aretino, trattò benefici economici e militari con le famiglie nobili che tenevano in possesso molti castelli e fortezze. Fra queste famiglie, che possedevano ampi territori di Subbiano,  i Tarlati di Pietra Mala, gli Umbertini, i Barbolani di Montauto e gli Alberti (Atto di sottomissione in Firenze – 13 dicembre 1384).                   

   Il dominio fiorentino si instaurò per i successivi quattro secoli. Nel 1434 si instaurò a Firenze la signoria dei Medici che fu poi trasformata, nel 1569, in Granducato di Toscana. Con l’ascesa al potere del granduca Leopoldo I d’Asburgo Lorena, furono apportate numerose modifiche al sistema economico, liberalizzando il commercio, concedendo il privilegio di tagliare i boschi, realizzando opere di bonifica, abolendo la tortura, la pena di morte, privilegi e immunità, ridefinì i confini territoriali, tra cui istituì ufficialmente il comune di Subbiano (13 agosto 1776), riunendo insieme tutti i vari Comunelli che furono aboliti per sempre e trasformati in frazioni.

   La podesteria di Subbiano, guidata da un Podestà sempre fiorentino, aveva sede presso l’attuale palazzo Ducci, posto a metà del Borgo di Subbiano, sulla cui facciata rimangono gli stemmi di alcuni Podestà, comprendeva i comunale di Subbiano, Catenaia, Valenzano, Savorgnano, Montegiovi, S.Mama, Castelnuovo.

Epoca Moderna

   In epoca napoleonica, con decreto del 24 maggio 1808 la Toscana fu annessa alla Francia, il territorio fu diviso in dipartimenti, circondari e municipi.

   Nel 1815, dopo la sconfitta di Napoleone, i territori ritornarono in possesso dei Lorena, i quali lasciarono l’organizzazione amministrativa del territori precedentemente data da Napoleone.

   Dopo le guerre e le insurrezioni risorgimentali che portarono all’Unità d’Italia del 1861, la vita nelle campagne riprese il suo ritmo normale, in cui la popolazione traeva i mezzi di sussistenza dal lavoro nei campi e dall’allevamento di bestiame.

   Anche nei primi decenni del secolo XX la struttura sociale e le abitudini di vita rimasero pressoché invariate rispetto al secolo precedente.

   I poderi erano a conduzione mezzadrile: il proprietario del terreno ed il mezzadro avevano stipulato un contratto per la coltivazione al fine di dividere a metà i prodotti e gli utili. La famiglia colonica aveva un’organizzazione specifica: il Capoccia , in genere la persona più anziana, era il rappresentante e l’amministratore di tutta la famiglia, la massaia, in genere la moglie del capoccia, aveva la conduzione della casa e non doveva render conto a nessuno.  Organizzava la preparazione e la cottura del pane, il lavaggio dei panni, controllava tutti i lavori di casa, allevava maiali e animali da cortile. Era l’unica donna a non lavorare nei campi e da lei dipendevano le figlie e le nuore.

   Il bifolco era il responsabile della stalla e delle bestie da lavoro che lui stesso doveva custodire, governare, ripulire e aggiogare per i lavori. Data l’importanza delle bestie come forza lavoro nell’economia del podere, grande era la sua responsabilità, in parte condivisa con il capoccia con il quale si consultava nella compravendita del bestiame. 

  La semina, la mietitura, la trebbiatura, la vendemmia, la raccolta delle olive e delle castagne rimanevano, per gli abitanti del paese e i contadini, i momenti più importanti di quella cultura contadina che da secoli permeava il territorio subbianese.

   La mietitura è la fase finale del processo che iniziava per S.Francesco il 4 ottobre con la semina del grano.

   Anche la vendemmia costituiva il ciclo finale della coltivazione della vite che cominciava a febbraio con la potatura, la piegatura e la disinfestazione delle piante con zolfo e acqua ramata.

   Al momento della vendemmia, l’uva recisa dal tralcio con un roncolino veniva portata nelle cantine e trasformata in vino. Nulla veniva sprecato: le vinacce venivano date in pasto ai polli o maiali, gli scioramenti (tralci potati) erano affastellati e usate per accendere il forno per cuocere il pane o il fuoco sotto grandi paioli di rame, il vinsanto si faceva verso la fin dell’anno facendo bollire uve pregiate fatte maturare appese al soffitto ed il caratello con il tappo murato e fatto invecchiare per almeno due anni.

   Subito dopo la vendemmia veniva la raccolta delle castagne, da essiccare e poi da macinare per ottenere la farina usata per la polenta dolce (castagnaccio o baldino).

   Seguiva la raccolta delle olive che era fatta con le mani nei panieri di vimini, legati alla vita e dopo raccolte portate al frantoio.

   Nel periodo natalizio si provvedeva alla spezzatura del maiale.

   Le famiglie integravano il reddito familiare allevando ovini per uso familiare e per la vendita di agnelli e di prodotti caseari.

   L’abbigliamento era limitato all’essenziale. Pantaloni di fustagno, il panciotto, la giacca di fustagno, camicie bianche o a quadri e il cappello a falde, ai piedi zoccoli o scarponi, per le donne gonne con davanti un grembiule, scialli e mantelline ed in testa la pezzuola.

   Le donne accudivano la casa, gli animali da cortile e aiutavano nel lavoro dei campi. I mezzi di trasporto erano pochi: animali da soma (la miccia, il mulo, più forte e anche più costoso, qualche famiglia il cavallo e il calesse e i barocci).

   Unici svaghi erano le funzioni religiose e le fiere paesane, chi suonava la fisarmonica mentre i giovani ballavano, nelle sporte venivano riposti piatti da condividere per un’allegra merenda campagnola.

   Dopo l’Unità d’Italia, l’entusiasmo patriottico rinvigorì anche gli scambi sociali e commerciali. Fu dato particolare risalto al mercato settimanale e alle fiere di merci e bestiame, considerate essenziali per la valorizzazione i prodotti agricoli e zootecnici, tipici di un’economia rurale come quella subbianese.

    Dopo la costruzione della Piazza del Mercato, le fiere furono gradualmente aumentate di numero: tre, quattro, fino ad arrivare, ad inizio Novecento, a dodici. Una decisione molto gradita ai commercianti locali, che vedevano così aumentate il loro giro di affari.

  Con l’intento di migliorare le condizioni economiche del paese, insieme al mercato settimanale di animali da cortile, uova, erbaggi e mercanzie varie, furono riproposte anche le fiere mensili, già sperimentate a inizio secolo.

   Nel 1936, in ottemperanza ad una proposta del governo centrale, volta a valorizzare i prodotti agricoli locali, la Comunità di Subbiano, decide di aderire, con entusiasmo e partecipazione, alla “VII Festa nazionale dell’uva”, dando così il via ad un tradizione che, ad alterne vicende, è arrivata fino ai giorni d’oggi.

 

LA TRADIZIONE CULINARIA NELLE LOCALITA’ DI PROGETTO

Prodotti Tipici

   I prodotti tipici locali offre miele, olio, vino, formaggio, vinsanto, moscatello (di cui in allegato la scheda), castagne tutti sapori tipici toscani da sempre apprezzati.

   La castagna, in ogni epoca del passato ha rappresentato un mezzo di sostentamento per le popolazioni locali che non potevano permettersi farina di grano (e quindi pane) dato il costo eccessivo.

   Le più belle selve di Subbiano sono nella zona di Vogognano, circa 30 ettari, e Falciano circa 20, tutte sulle pendici dell’Alpe di Catenaia, con castagni centenari che raccontano con i loro tronchi “busi” storie delle vecchie famiglie della zona.

   La raccolta produce circa 1350 quintali tra marroni e pistolesi ed è effettuata in Autunno, prevalentemente a mano ma oggi le nuove aziende di Falciano si avviano all’utilizzo di mezzi meccanici idonei in modo da salvaguardare il prodotto.

   Vediamo ora i vari lavori che si eseguono prima, durante e dopo la raccolta delle castagne fino alla trasformazione in farina.

   La prima operazione è la ripulitura del terreno, che ha inizio nel mese di settembre e che si protrae fino alla caduta delle castagne"primaticce". Per questo lavoro si usano falci e pennati, si tagliano ginestre, felci, scope, spini ecc., cresciuti dopo la raccolta dell'anno precedente. Con la zappa, si fanno, o si rifanno, le fossette nei punti di maggior pendenza del terreno per impedire ai frutti di "scivolare" nei castagneti confinanti. Il materiale tagliato viene accumulato in vari punti e poi bruciato.

   Ogni quattro o cinque anni, da aprile a maggio, i castagni vengono puliti, cioè privati dei rami secchi e di quelli che non danno più frutti.

   Arriva poi il momento della raccolta: occorre un paniere, alcuni sacchi di tela, la "pannuccia" (grembiule di tela), una scopa fatta con frasche di castagno, rastrelli con denti di legno. Per il vitto: pane, formaggio, rigatino o salsiccia, e da bere acqua e vino rosso.

   Durante la raccolta delle castagne, la giornata lavorativa va da "buio" a "buio", cioè si parte prima dell'alba e si torna a casa dopo il tramonto.

   Giunti nel bosco si riempiono panieri di castagne e si travasa il contenuto, di volta in volta, nei sacchi di tela sistemati, qua e là, a ridosso delle piante. E così per lunghe ore. Al termine della giornata lavorativa si trasportavano le castagne ai "seccatoi" un tempo con l'aiuto di asini o muli oggi con trattori. Va detto che in alcuni casi venivano fatte le "ricciaie", cioè si ammucchiavano i ricci chiusi per poi liberarne le castagne servendosi di scarponi chiodati.

   Le specie di castagne più comuni che si producono a Subbiano sono: marrone (la più pregiata) e pistolese.

   Le castagne raccolte vengono portate, come detto, nei "seccatoi", oggi ubicati per la maggior parte vicino alle abitazioni, un tempo soprattutto in mezzo alle selve di grandi dimensioni. I seccatoi sono costruiti in pietra, a due piani. Il piano terreno, con porta e finestra, ospita il fuoco, mentre il primo piano contiene le castagne che vi vengono gettate attraverso una finestrella. La parte inferiore del seccatoio è divisa da quella superiore per mezzo di tavolette di castagno, distanti tra loro un paio di centimetri.

   L'Italia ha una tradizione culinaria unica al mondo: ogni regioni italiane possiede una gran varietà di ricette, vini, e ingredienti e prodotti tipici. La Toscana, terra fertile, favorita dagli inverni miti e dalle estati asciutte del clima mediterraneo, porta in tavola le sue tipiche pane toscano, l’olio, i formaggi e, soprattutto, i saporitissimi salumi.

   La nostra cucina, semplice e nello stesso tempo sostanziosa, legata alla tradizione della civiltà contadina, era improntata essenzialmente sulla combinazione di elementi genuini quali pasta, verdura, olio e vino: praticamente l’antica cucina del mondo rurale (dal pane appena sfornato alla pasta fatta in casa).

  Dalle nostre parti quando si parla di antipasto si parla di crostini e sono o con il cavolo nero o neri… e crostini neri un insieme di fegatini di pollo, di milza, acciuga e capperi.

   La panzanella. Uno dei piatti più semplici, buoni e noti della cucina nostrana, che trae origine sempre dalla sana abitudine di riciclare il pane una volta raffermo. Si potrebbe definire anche un'insalata a base di pane bagnato e strizzato, poche verdure e aromi, condita il giusto e gustata a temperatura ambiente nella calura estiva.

   La minestra di pane e la ribollita. E' questo un piatto emblematico della cucina toscana, nasce, come accade dalla nostre parti, per riciclare gli avanzi, nella fattispecie la ministra di pane o la zuppa di magro del giorno prima. La pratica di far spiccare il bollore alle vivande avanzate, era un rimedio contro eventuali processi di deterioramento in assenza di frigoriferi.

In Toscana i Medici favorirono la cultura dell'olio dando avvio a quella che ancora oggi è una delle maggiori risorse dell'agricoltura del nostro territorio.

   L'olio di oliva è un alimento fondamentale nella dieta di tutti e per tutte le età, nei mesi di novembre-dicembre la raccolta viene fatta a mano o con l'aiuto di pettini che fanno cadere le olive su reti posti a terra. Al frantoio, come quello di Castelnuovo di Subbiano, il porta il pane e una bottiglia di vino novello per mangiare la prima "fettunta" che è il modo migliore di assaggiare il buon olio nuovo.

   Le pappardelle sono la versione toscana casalinga della pasta all'uovo, che forse un tempo, nelle campagne erano fatte solo di semola, senza il concorso dell'uovo, condite con un sugo importante, per esempio di anatra, di coniglio, di funghi o di lepre.

   Dalla tradizionale coltivazione del castagno, molto presente sulle pendici dell'Alpe di Catenaia, sopravvivono nel nostro territorio i piccoli e antichi seccatoi di castagne, e a Falciano i mulini a pietra azionati dall'acqua, dove il movimento delle macine è dato da un condotto ad acqua che aziona una pala di legno, dotata di pale a cucchiaio disposte verticalmente per trasmettere energia mediante un albero, il tutto per poter offrire una farina di castagne eccezionale.

   Così nel periodo della raccolta tradizionali sono le sagre delle castagne e nelle case è consuetudine gustare questo frutto della natura mettendo in tavola le caldarroste o bruciate con il vino novello, le ballotte o il baldino.

   Gli insaccati e i salumi sono parte di una cucina rinomata in tutto il mondo, tra i salumi prodotti nelle macellerie secondo le antiche tradizioni, come la finocchiona, il capocollo, il salame, si può scoprire la gustosissima soprassata, in Casentino chiamata anche "capaccia" o "capofreddo", un salume cotto fatto con la testa e la lingua del maiale, oltre a cotenne e ritagli vari, bolliti, disossati, tagliati a tocchetti regolari e pressati dentro un involucro di pesante tela da sacchi, legato ai due capi.

   Tra prosciutto e salsicce, cercate di trovare in qualche macelleria che lo prepara direttamente il "sambudello", salsicciotto fatto di budello suino riempito con impasto di sangue, milza, fegato, grasso, scarti di macellazione, sale, pepe, aglio, peperoncino, odore di finocchio; insaccato che non è cotto ma solo lasciato maturare brevemente.

 

CONTESTO SETTORIALE E SITUAZIONE DI PARTENZA

   L’Analisi di cui sopra ha evidenziato una serie di debolezze sulle quali necessitano interventi al fine di migliorare il territorio preso in considerazione dal punto di vista culturale, sociale ed economico.

   La carenza, o poca funzionalità, di punti informativi per i giovani è una problematica in cui le Pro Loco possono svolgere un ruolo di stimolo; tuttavia la competenza specifica è demandata agli Enti locali.

   Stesso discorso vale per quel patrimonio culturale abbandonato, non catalogato, bisognevole di interventi strutturali, carente di personale (e, pertanto, non visitabile) o poco conosciuto per assenza di una adeguata azione di marketing.

   Al riguardo,

-       i comma 3 e 4 art.1 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n.42 recitano testualmente: “Lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione. 4.

-       l’articolo 9 della Costituzione “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

 

GLI ALTRI SOGGETTI PUBBLICI,

   Nello svolgimento della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro patrimonio culturale”. In ragione di quanto sopra, pertanto, anche in questo caso il ruolo delle Pro Loco è limitato ad azioni di stimolo e di sensibilizzazione, verso gli Enti preposti, affinché questi “beni” siano fruibili, efficienti e “godibili”.

   Le attività di sensibilizzazione su problematiche territoriali nei riguardi dell’Ente pubblico, come anche del privato, rientrano tra le iniziative “ordinarie” che le Pro Loco conducono da sempre con tenacia, costanza e professionalità.

   Per quanto concerne il Settore enogastronomico, alla luce di quanto sopra detto ed evidenziato, si ritiene in definitiva che reindirizzare il futuro dell’alimentazione significhi:

· valorizzare il serbatoio ricco e articolato della convivialità;

· proteggere la varietà territoriale locale, in chiave espansiva;

· trasferire la conoscenza e il saper fare come straordinari giacimenti di ricchezza culturale;

· tornare a un sano rapporto con il territorio e il contesto della materia prima, mirando all’eccellenza degli ingredienti;

· riprendere il valore del cibo come tramite di rapporto fertile fra le generazioni, nella semplicità e chiarezza dei suoi benefici;

· recuperare i sapori antichi capaci di essere rinnovati nel gusto contemporaneo;

· diffondere la cultura del gusto e del saper vivere attraverso il cibo autentico.

   Azioni, queste, che vanno indirizzate soprattutto ai giovani al fine di una corretta informazione/formazione sul patrimonio culturale immateriale (enogastronomia).

   Spesso le sagre rivestono solo un carattere commerciale o solo una valenza attrattiva turistica arrecando danni pesanti all'immagine del turismo e dell'enogastronomia locale per le troppe truffe che offuscano l'importanza ed il valore, anche culturale, delle vere sagre.

   Con l’attuazione del presente progetto si intende attuare iniziative atte a colmare una debolezza evidenziata ed emersa dall’analisi di cui sopra: colmare quella lacuna rappresentata spesso da un mancato connubio perfetto tra l'autenticità gastronomica e le tradizioni del territorio da cui questa proviene, tentare di ridimensionare quel disinteresse dei giovani verso le storia e verso quel qualcosa che sa di antico o di “vecchio”, sensibilizzare il cittadino ad una più attiva partecipazione alle iniziative socio-culturali organizzate sul proprio territorio, stimolare lo spirito di partecipazione, aggregazione, amicizia e appartenenza.

 

   Attraverso il progetto la Pro loco, i volontari e la comunità residente prenderanno coscienza dell’importanza delle sagre non solo come oggetto di ricordo ma anche e soprattutto come segno di identità, che possa anche servire da mezzo virtuoso per riscoprire giacimenti, patrimoni e specificità tipiche dimenticate nel tempo.

   Quando si parla di storia ed iniziative socio – culturali, queste vengono “legate” imprescindibilmente al territorio.

   L’approfondimento attraverso il progetto servirà, ai giovani volontari e non, ad analizzare la sagra come parte integrante dell'identità storica di una comunità e di un paese, espressione della cultura materiale del territorio, se ha come obiettivo la salvaguardia, la diffusione e la promozione del patrimonio territoriale, se rappresenta un'occasione per la comunità locale (operatori commerciali e non) per riflettere sulle proprie origini e sulle proprie risorse e, infine se possiede almeno un passato di legame tra il prodotto culinario e il suo territorio.

   Il nostro territorio è ricco di prodotti alimentari altrimenti introvabili, per cui le sagre devono diventare occasioni imperdibili per divulgare la nostra vera identità storica e per far meglio conoscere i nostri prodotti carichi di valori.

   Colmare le carenze è il fine del presente progetto, conoscere la nostra storia per non ricadere in errori che facilmente le “ignare” generazioni possono commettere. La ricerca sarà ben descritta successivamente, in fasi che verranno attuate nei dodici mesi su cui il presente progetto si basa.

 

DESTINATARI E BENEFICIARI

   Destinatari principali saranno i prodotti tipici oggetto dell’intervento progettuale, in particolare si studieranno e ricercheranno i luoghi (la valorizzazione dei percorsi enogastronomici esistenti), i racconti, le storie, le tipicità locali e le tradizioni ad esse legate.

Beneficiari si possono considerare le famiglie dei giovani per la crescita culturale di questi ragazzi; le aziende produttrici e tutte le realtà dell’indotto enogastronomico.

   Inoltre potranno considerarsi beneficiari anche i partecipanti alla rievocazione che avranno l’opportunità di una crescita personale che si svilupperà sia attraverso l’acquisizione di competenze specifiche, sia attraverso la maturazione di una maggiore coscienza civica e solidarietà sociale.

 

Il progetto si articola in tre moduli:

Cronoprogramma della “Rievocazione storica della cultura contadina”

1° domenica di Settembre -Subbiano

Mostra campionaria del bestiame, l'evento è patrocinato dal Comune di Subbiano e dalla Regione Toscana.

 

2° domenica di Settembre- Subbiano

L’associazione Pro Loco di Subbiano organizza la rievocazione storica della festa dell’uva e l'evento è patrocinato dal Comune di Subbiano.

 

Torna l'appuntamento che assume ormai da anni, a partire dagli anno ottanta, una notevole rilevanza dal punto di vista culturale e storico in quanto si tratta della rievocazione storica della semina, della mietitura e della battitura del grano che coinvolge la popolazione non solo del nostro territorio ma anche gli alunni della scuola primaria. L'iniziativa si svolge come sempre a scopo benefico in quanto l'intero ricavato sarà devoluto in beneficenza alle associazioni di volontariato che operano nella nostra città e nel nostro territorio provinciale.

Immancabile ogni anno l'appuntamento a Subbiano, paese immerso nella splendida cornice della valle casentinese, dell'oramai tradizionale e famosa Festa dell’Uva. Nel periodo che va tra Settembre e Ottobre di ogni anno in tutte le regioni d'Italia si svolgono manifestazioni di questo genere, che tendono a valorizzare non solo il frutto e la stagione in sé, ma tutta la cornice di gusti, odori e colori caratteristica di questo periodo. Passeggiando per le strade del paese di Subbiano si possono trovare ed osservare bancarelle che espongono prodotti e specialità enogastronomiche.

Non sono mancate anche qui bancarelle di piccoli artigiani che riportano alla luce piccole attività e mestieri oramai scomparsi. Avvolti in questa atmosfera di cordialità e simpatia tra la gente, oltre a tantissime e variopinte iniziative, si svolge nel pomeriggio della Domenica il tocco finale, e cioè la famosa sfilata di carri allegorici completamente addobbati di acini di uva, veri capolavori di maestria e fantasia. Un vero complimento va quindi a chi organizza simili eventi che tendono a valorizzare e mantenere non solo il territorio, ma i suoi costumi, le tradizioni e la propria cultura di generazione in generazione.

La giornata finale della Festa di Finestate si apre con il Mercatino del tempo che fu che, fin dalle prime ore del mattino, anima le strade del centro storico con la suggestiva rievocazione dell'antico mercato contadino di scambio e di vendita di prodotti locali di artigianato e di produzione agricola.

 

2° domenica di Settembre
Subbiano

La sagra dell'uva, come ogni altra manifestazione d'uguale tipologia, nasce dall'esigenza di manifestare la gioia ed il ringraziamento a madre natura per un raccolto abbondante, come una sorta di celebrazione corale e liberatoria in cui culmina la vendemmia. Alcune sagre, come quella dell’uva, hanno una profonda tradizione storico/culturale alle spalle, facendole risalire ai culti bacchici, della vite e del vino, due principi generatori di vita. Queste sagre, giunte fino a noi ebbero un'esplosione ed una codifica in epoca fascista, un'epoca in cui l'Italia portava il peso delle sanzioni inflittegli dalla Francia e dall'Inghilterra. Fare festa e organizzare sagre, era un modo per coltivare il culto delle tradizioni ed un modo per dire al mondo che in ogni modo il morale degli italiani era ancora alto e che le risorse erano ancora tante.

   La manifestazione, così denominata in onore delle usanze, costumi e tradizioni contadine che intende rievocare, si svolge a partire dalle prime ore del pomeriggio nelle strade del paese con sfilata in costumi contadini dell'ottocento di carri dell'uva ed è allietata dalla presenza di bande musicali e gruppi folkloristici in costume.

   La sagra dell'Uva, si tiene solitamente nella prima decade di settembre, oltre che la dimostrazione di gioia ed il ringraziamento a madre natura per i frutti della terra, é anche il modo di confrontarsi tra le frazioni del comune, allestendo i carri allegorici con tralci d'uva, simboleggianti spaccati di civiltà contadina che rievocano fasi della vendemmia e dei lavori agricoli dei tempi passati.

   Apre la sfilata il carosello di cavalli con carrozze dell'800-'900, segue il corteggio storico in costumi d'epoca medioevale che raffigurano i nobili, i prelati, gli armigeni ed il popolo di quei tempi, accompagnato dal gruppo di sbandieratori e dei suonatori di tamburi e chiarine.

   I costumi sono stati realizzati ispirandosi con estremo rigore (e quando possibile adoperando vecchi tessuti di broccato e damasco) a dipinti di Piero della Francesca e di Masaccio (1380 – 1450) avvalendosi di capaci artigiani. Il gruppo rievoca con una suggestiva rappresentazione, l’atto di sottomissione della balìa di Subbiano alla repubblica Fiorentina.

   La figura dello Sbandieratore è da ricondurre, tramite molte mediazioni, ad una figura fondamentale dell’esercito, quella del “vessillifero”, termine preso in prestito dal gergo militare romano, che indica un soldato di elite, colui che porta la bandiera del suo reparto in guerra. Il suo ruolo era fondamentale per le sorti della battaglia, perché doveva mantenere il possesso del vessillo in modo da segnalare la posizione degli uomini sul campo. In particolare doveva essere in grado di lanciare in alto la bandiera al suono delle trombe, in modo da rendere visibile la sua posizione e passare il vessillo ad un compagno, nel caso in cui i nemici fossero sul punto di sopraffarlo. Gli alfieri, altro termine con il quale si indicavano i vessilliferi, erano obbligati a tenersi in esercizio anche durante periodi di pace e si preparavano in maniera specifica a lanciare le bandiere per meglio adempiere al proprio compito. Probabilmente in quei momenti si comincia a escogitare evoluzioni sempre più ardite fino a dare origine a quello che verrà conosciuto come gioco delle bandiere. E’ impossibile stabilire quando si costituì ufficialmente questa gara di abilità, ma è certo che fosse popolare fin dalle guerre di Borgogna nel 1476. Una prima codifica dei movimenti fu redatta nel 1616 da Renner und Ranzler e poi riedito in forma del tutto simile da J. G. Pasha nel 1661, la pubblicazione più recente invece è del 1908 da parte di J. Mùller e illustra i movimenti di giochi di bandiera tedeschi. E’ ricordata dagli storici la manifestazione che coinvolgeva appunto gli Sbandieratori di Milano, allorchè nel 1512 Massimiliamo Sforza entra in città, salutato dalle bandiere triangolari ad asta corta, che volteggiavano festose nell’aria. Infine l’uso delle bandiere è registrato in Toscana fino dalla metà del XII secolo, secondo gli scritti lasciati dal Villani e in base alle cronache cittadine delle città di Firenze e Siena che vorranno tale gioco prima delle gare di calcio e della corsa del Palio. Verso la fine del XVIII secolo il gioco della bandiera perde la propria utilità in campo militare è rimane esclusivo deposito delle comunità civili, così come si spegne anche nell’ambito cittadino. In Italia la tradizione del gioco delle bandiere vive con una sua significativa continuità storico, solo a Siena in occasione del Palio; sono degne di menzione anche le scuole del Trentino Alto Adige a quella Aretina (Estratto da “Gli Sbandieratori della giostra d’Arezzo” di Chiara Barbagli, Zona Editrice).

   “Nell’anno dell’incarnazione del Nostro Signore Gesù Cristo 1384, indizione ottava, giorno 13 del mese di dicembre. Disposto in Firenze nel Palazzo del popolo fiorentino, davanti ai dieci officiali di Balia del Comune di Firenze, convocati nel detto Palazzo, Angelo del fu Marco del Comune e castello di Subbiano, contea di Arezzo, sindaco della Comunità e degli abitanti di detto castello, spontaneamente e liberamente, senza alcun dolo e timore e nella forma che meglio poté, assoggettò e sottomise in perpetuo e dette liberamente al Comune di Firenze, il predetto castello e Comune di Subbiano.”

    In realtà l’atto di sottomissione fu il riuscito tentativo della Comunità subbianese di impedire la distruzione del castello da parte di Firenze, l’ottenimento di privilegi ed amnistie a vario titolo e la protezione da parte della città di Firenze. Da quell’episodio sarebbero passati pochi anni quando Subbiano si sarebbe dato propri statuti e sarebbe tornato un libero comune.

   Presso la sede del Gruppo Rievocazioni Storiche di Subbiano dove fanno bella mostra gli stendardi delle antiche famiglie subbianesi ,come quello degli Alberti di Catenaia e dei Della Fioraia, ricamati a mano e gli abiti di dame, armigeri e signori del 1300 realizzati da mani sapienti e secondo i dettami storici per i figuranti del Gruppo molto richiesti sia in Italia come a Roma, Avellino, Aosta sia all'estero come Francia, Corsica e Germania.

 

   Col tempo detta manifestazione ha svestito i panni della semplice celebrazione della vendemmia, accompagnata da canti e balli, trasformandosi in manifestazione a carattere popolare, rievocativa della civiltà contadina arricchendosi di simbologia e tematiche augurali, una sorta di scaccia pensieri, per potersi ricaricare dalla stanchezza, un rito per esorcizzare le preoccupazioni, per vendemmie sempre più ricche, una festa pagana portata ai nostri giorni.

   Un gran successo di pubblico forse oltre le più rosee previsioni per le più recenti edizioni.

   Lo spettacolo dei Carri Allegorici ha attirato migliaia di appassionati, entusiasti per la riproduzione delle scene del lavoro contadino nelle campagne degli anni passati, nelle trasposizioni sui carri allestiti dalle varie frazioni di Subbiano (Calbenzano, Casa la Marga, Castelnuovo, Chiaveretto, Falciano, Vogognano) e altri carri che distribuiscono uva, dolci, caldarroste, vino, vinsanto e non può mancare il famigerato Moscatello.

   Tutti i carri sono in concorso per vincere l'ambito premio "Carro più bello".

   La Festa dell'Uva, ormai appuntamento fisso e tradizionale del paese di Subbiano, ha fatto registrare nelle più recenti edizioni un'affluenza record di presenti, grazie anche allo spettacolo degli sbandieratori e dei musici di Arezzo. 

Foto attestante una delle primissime edizioni, ripresa poi dall’Associazione

Festiera negli anni ’80 ed oggi, nel 2019, 36^ edizione.


 

BIBLIOGRAFIA

IL CASENTINO. Territorio, storia e viaggi di Leonardo Rombai- ed. 2012.

SULLE ORIGINI DI SUBBIANO. Studio astronomico-astrologico sulla fondazione del paese di Subbiano nel basso casentino di Renzo Baldini- ed. 2010.

VECCHI RICORDI DI SUBBIANO E DINTORNI di Necci Massimo. Ed. 2006.

CATENAIA E I CATENAIOLI: Storia di un paese e del suo bosco: “La Bandita dell’Alpe”. Di Luciano Maestrini e Lia Rubechi. Ed. 2013.

SUBBIANO DA PODESTERIA A COMUNE (1384-1946) di Luciano Maestrini e Lia Rubechi ed. 2018.

STORIA DI SUBBIANO di Pier Antonio Soderi. Ed. 2009.

BREVE STORIA DELLA TOSCANA di Remo Fattorini, Sandro Rogari, Marcello Verga e Alessandro Volpi. Ed. 2008.

 

 

 

 


 

 

 


 


 


STORIA del MOSCATELLO di SUBBIANO

 


 

ALCUNE IMMAGINI del MERCATINO e della RIEVOCAZIONE delle varie edizioni